La frequentazione delle alte vette può farci riflettere sul senso della vita di tutti i giorni, sul valore che diamo abitualmente alle cose e alle persone, sugli obbiettivi che ci proponiamo di raggiungere.

Ci sono montagne completamente snaturate dalle funivie e dagli impianti di risalita. Il CAI e molti valorosi alpinisti hanno tentato in tutti i modi di limitare il danno con risultati quasi sempre deludenti. Messner nel 2014 dichiarava: "L'alpinismo leggero ormai non esiste più, è fallito, perché anche le cime più alte sono accessibili ai turisti. Abbiamo una divisione chiara tra sport, turismo e quel po' di alpinismo che è rimasto".

Anche i rifugi in quota sono diventati dei normali ristoranti frequentati per lo più da gitanti che a piedi fanno solo il percorso dalla macchina al rifugio e solo quando la macchina o la funivia non arrivano nelle immediate vicinanze del rifugio.

Lasciamo perdere queste tristezze e andiamo a cercare la montagna vera, quella che non è stata ancora snaturata, quella che richiede molte ore di lento cammino, di fatica, di sudore, ma che poi ci regala una serenità ed una ebrezza che nessun altro ambiente è in grado di offrirci.

Chi sale sulle alte vette sa che non c'è niente da conquistare. La vetta sopporta impassibile il nostro passaggio. C'era il giorno prima e rimane al suo posto anche il giorno dopo. Noi non le portiamo niente di nuovo (a parte qualche rifiuto), mentre lei ci offre sempre emozioni forti, panorami straordinari, sensazioni irripetibili.

Per arrivare lì sopra abbiamo faticato per ore, abbiamo patito il caldo, il freddo, la sete, senza sapere se ce l'avremmo fatta. Abbiamo anche corso qualche rischio, spesso ci siamo aiutati a vicenda, qualche volta abbiamo imprecato come carrettieri.

Nella vita a bassa quota molta gente si spaccia per quello che non è. In alta quota la finzione non resiste all'urto degli elementi. Chi non è all'altezza della situazione crolla miseramente, chi non è temprato alla fatica prima o poi si arrende, chi si vantava di imprese mai compiute viene sbugiardato dalla sua inadeguatezza. E' un ambiente che impone verità.

Ci si inoltra tra le alte cime portando pochissime cose, perché lo zaino è sempre pesante. Il contrasto con l'enorme quantità di cose inutili delle quali ci contorniamo nella vita di tutti i giorni è stridente.

L'alta montagna, sopratutto quando è difficile da raggiungere, ci mostra quanto sarebbe bello il mondo in cui viviamo se noi umani non facessimo di tutto per rovinarlo, per stravolgerlo, per distruggerlo. Più la montagna è inaccessibile e più la sua integrità ci commuove con la sua bellezza, la sua varietà, i suoi colori, il suo silenzio, la sua sacralità.

Dal momento in cui iniziamo a salire le verdi vallate montane prima immerse nei boschi e poi aperte nella zona dei pascoli e dei prati, solcate dagli immancabili ruscelli, ricche di fiori, di farfalle e di voli di uccelli, fino a raggiungere la quota in cui la vegetazione si dirada e la roccia prende il sopravvento e su ancora respirando a fatica un'aria sempre più limpida e rarefatta fino a che il blu del cielo diventa il colore predominante, per tutto questo tempo viviamo come rapiti in una dimensione lontanissima da quella quotidiana, a metà strada fra il sogno e il paradiso in cui siamo di fatto penetrati.

La collina e la pianura dalle quali proveniamo di per sé non sarebbero meno interessanti, meno ricche di variazioni ambientali e di specie viventi, ma quasi sempre e quasi dappertutto abbiamo provveduto noi a sconvolgere gli equilibri di questi ambienti e a riempire ogni metro quadrato disponibile di cemento, di asfalto, di coltivazioni industriali, di macchine, di rumore, di smog, di luci, della nostra pazzia.

Purtroppo sempre meno gente sale alle quote più alte - percorsi troppo lunghi, troppo dislivello, troppa fatica - e così un po' alla volta sparisce dalla nostra memoria collettiva anche il ricordo del meraviglioso mondo in cui eravamo destinati a vivere.

Foto dell'autore: Laghetti di Sternai con Cevedale, Gran Zebrù, Zebrù e Ortles sullo sfondo.