Wiebke Werwer, Ingegnere Ambientale, PhD presso l'Ecosystem Research Institute di Kiel (Germania) da 9 anni resiede e lavora a Verona.

Al contrario di ciò che dice l'agronomo Bertaia, è spesso un'agricoltura non adatta al luogo oppure attuata in maniera troppo intensa che contribuisce a creare disagi e disequilibri ambientali, a volte disastrosi e senza ritorno. In scala globale si può citare al proposito la perdita di ampi terreni coltivabili a causa dell'erosione, l'eutrofizzazione delle acque nei corpi recettori dovuta ad un eccesso di concimazione e la perdita di specie della fauna e della flora (diminuizione della biodiversità) dovuta all'uso eccessivo di pesticidi a largo spettro. Si pensi, ad esempio, per quanto riguarda l'ultimo punto, ai problemi causati alle api dai neonicotenoidi.

Ma anche a livello locale, come nel caso della Valpolicella, l'agricoltore o, meglio, il viticoltore, non sempre è quell'amico dell'ambiente che si vorrebbe dipingere. Certo che ha un grosso interesse a che il suo terreno rimanga coltivabile.

Ma per quanto riguarda la salvaguardia dell'ambiente, la situazione è ben diversa dal quadro bucolico dipinto da Bertaia. Creare infatti un vigneto nuovo oggi prevede non solo la completa distruzione di vecchie strutture esistenti, sia naturali che storico-antropiche (e pensiamo ai muretti a secco con le loro funzioni di regolazione del ciclo dell'acqua), ma anche l'arricchimento del suolo con ampi strati di terra proveniente da ecosistemi completamente diversi da quelli collinari e l'uso intenso sia di concimi che di pesticidi.

Quindi ambienti naturali piuttosto poveri (in senso di produttività agricola), come le nostre colline, vengono talmente modificati che, se da un lato permettono un reddito elevato al viticoltore, dall'altro modificano pesantemente l'ecosistema originario con il suo equilibrio, soppiantando la flora e la fauna tipiche del posto.

Ci chiediamo allora quale possa essere, nelle condizioni descritte, il tanto decantato legame (a livello di pubblicità) tra vino e terroir?

Per quanto riguarda il SIC Val Galina e Progno Borago, sono proprio i pascoli abbandonati e gli ex coltivi che contribuiscono alla qualità e all'importanza di tali luoghi presentando infatti una vegetazione xerofila con molte specie di orchidee e di altre entità rare e numerose specie di invertebrati endemici. Anche al di fuori dei confini del SIC le aree citate sono caratteristiche del tessuto paesaggistico della zona collinare veronese. Quindi in questo senso il "bonificare di un terreno incolto e invaso da arbusti e piantarvi un vigneto" non presenta un intervento migliorativo del paesaggio, ma addirittura lo impoverisce per quanto riguarda l'aspetto della biodiversità.

Si legge infatti nei Quaderni Habitat del Ministero dell' Ambiente e della Tutela del Territorio:

"D'altra parte, questi habitat ospitano una notevole ricchezza biologica e rappresentano una componente non trascurabile della biodiversità. Essi hanno inoltre una peculiare funzione ecologica e un elevato interesse scientifico. A questi valori si aggiungono spesso significati culturali e paesaggistici non trascurabili. Di conseguenza, una gestione conservativa di questi ambienti è in molti casi auspicabile e doverosa.

La messa a coltura di questi terreni può comportare in primo luogo una radicale eliminazione della vegetazione erbacea spontanea e, di conseguenza, il depauperamento e la banalizzazione della comunità animale presente. Inoltre, gli interventi di dissodamento del terreno, di concimazione e di irrigazione artificiale alterano profondamente le proprietà strutturali e chimiche del suolo e le condizioni microclimatiche del substrato".

 In conclusione ben vengano l'agricoltura e la viticoltura in collina: non abbiamo alcun preconcetto verso queste attività. Basta che siano adatte al luogo, rispettose degli equilibri naturali e che mantengano, magari riqualificandole, le strutture antropiche storiche esistenti e frutto di un'evoluzione millenaria tra uomo e suo ambiente. Basta insomma che non diventino monocoltura (e alla vite associamo l'ulivo), lasciando posto anche ad altri tipi di vegetazione.

Così si permetterebbe la coesistenza tra ambienti naturali e l'uomo e ciò porterebbe, ne siamo sicuri, a vini di qualità sicuramente superiore rispetto all'attuale. Come dice una locuzione tedesca - "weniger ist oft mehr" ( "il meno" è spesso "il più"). E Dio solo sa quanto abbiano bisogno la Valpolicella e la collina veronese in generale, di questo ossimoro.