Tutti parlano di ecologia, il Papa ci ha imbastito sopra una enciclica, EXPO è stato presentato al mondo come una iniziativa ecologica, le aziende fanno a gara nell'inserire una eco dentro al proprio logo. Eppure mai come in questo momento è stato difficile capire che direzione prendere. Lo scrittore americano Jonathan Franzen un'idea ce l'ha e piuttosto interessante.

 

Franzen parte da questo dilemma: ha senso investire energie e risorse in progetti a lungo termine per rallentare i cambiamenti climatici oppure dovremmo preoccuparci di preservare subito gli habitat e le specie esistenti?

Questa in sintesi la sua analisi.

A settembre 2014 la National Audubon society ha pubblicato un comunicato in cui dichiarava che il cambiamento climatico era la più grande minaccia per l'avifauna americana e avvertiva che quasi la metà delle specie di uccelli nordamericani rischiava di perdere il proprio habitat entro il 2080. Nello stesso periodo in California c'erano stati solo 16 giorni di pioggia negli ultimi 254 giorni e le previsioni meteo prevedevano invariabilmente "bel tempo".

Franzen trova che ci sia una certa affinità spirituale tra l'ambientalismo e il puritanesimo. Entrambi sono tormentati dalla sensazione di "essere colpevoli". Che la razza umana sia responsabile della distruzione di una grande quantità di specie vegetali ed animali sul pianeta è innegabile. Ora i cambiamenti climatici ci hanno fornito una escatologia per fare i conti con il nostro senso di colpa: se non ci pentiamo e cambiamo vita presto arriverà il giorno del giudizio e dovremo fare i conti con un una Terra arrabbiata. Ma lo scrittore americano è anche un appassionato birdwatcher e confessa di aver subito il richiamo di una varietà compensativa di cristianesimo, che si ispira all'esempio di San Francesco d'Assisi nell'amare ciò che è concreto, vulnerabile e sotto i nostri occhi.

La National Audubon society ha lanciato una grande campagna nazionale proponendo una serie di azioni specifiche finalizzate a proteggere le specie in pericolo: "raccontate le vostre storie, rendete il vostro giardino accogliente per gli uccelli", ma anche a "sostituite le lampade  a incandescenza con altre più efficienti, ecc." Spostare tutta l'attenzione sui cambiamenti climatici è molto allettante per le organizzazioni ambientaliste e tutto sommato comporta pochissimi rischi. Dichiarare che il cambiamento climatico nuoce agli uccelli non scatena nessuna opposizione. Chiedere che vengano messe al bando le munizioni che contengono piombo suscita l'ostilità dei cacciatori e dei costruttori di armi. L'Amministrazione Obama (Fisch and wildlife service) ha inserito il Piovanello nella lista delle specie a rischio e ne ha attribuito il declino "al cambiamento climatico", anziché alla cattura incontrollata del granchio reale, del quale il Piovanello si nutre.

Colpa di tutti, cioè di nessuno.

Franzen va dritto al segno: per impedire future estinzioni non basta ridurre le nostre emissioni di anidride carbonica. Dobbiamo anche tenere in vita una gran quantità di uccelli selvatici ora. Dobbiamo combattere il rischio di estinzioni nel presente, lavorare per ridurre i pericoli che stanno decimando l'avifauna e investire in progetti di conservazione su larga scala concepiti in maniera intelligente, soprattutto quelli che tengono conto dei cambiamenti climatici.

REASON IN THE DARK TIME, un libro molto interessante di Dale Jamieson, si presenta con questo sottotitolo: "Perché la lotta contro il cambiamento climatico è fallita e quali saranno le conseguenze per il nostro futuro". Jamieson mette in evidenza come dalla Conferenza di Rio del 1992 le emissioni di anidride carbonica non sono diminuite, ma sono notevolmente aumentate. A Copenaghen nel 2009 Obama ha gettato la spugna e con lui il resto del mondo. A differenza dei progressisti che vedono una democrazia guastata dagli interessi delle classi agiate, Jamieson suggerisce che l'inerzia statunitense sul problema dei cambiamenti climatici sia il risultato della democrazia. Sono proprio i cittadini delle democrazie più inquinanti a beneficiare della benzina a buon mercato e del commercio globale, mentre le conseguenze del nostro inquinamento ricadono soprattutto su chi non può votare: i paesi poveri, le generazioni future e le altre specie. L'elettorato statunitense è razionalmente egoista. Secondo un sondaggio citato da Jamieson il 60 % degli americani crede che il cambiamento climatico danneggerà le altre specie e le generazioni future, mentre solo il 32 % pensa che ne sarà danneggiato personalmente.

La tesi di Jamieson è che il cambiamento climatico appartiene ad una categoria diversa da qualunque altro problema mai affrontato. Innanzitutto confonde il cervello umano che si è evoluto per concentrarsi sul presente anziché sul futuro remoto, e su variazioni immediatamente percepibili anziché su sviluppi lenti e probabilistici. La grande speranza dell'Illuminismo – che la razionalità umana ci avrebbe permesso di trascendere i nostri limiti evolutivi – ha subito una batosta da guerre e genocidi  ed ora con il problema dei cambiamenti climatici, è tramontata del tutto.

Quindi è innanzitutto importante riconoscere che il surriscaldamento globale è ormai avvenuto. Anche nei paesi più minacciati da inondazioni o da siccità e in quelli che usano di più le fonti di energia rinnovabili, nessun capo di stato si è mai impegnato a lasciare il carbonio nel sottosuolo.  La terra come oggi la conosciamo somiglia a un malato terminale di cancro, che possiamo curare con un'aggressività deturpante oppure con palliativi e compassione. Possiamo costruire dighe su ogni fiume e rovinare ogni paesaggio con coltivazioni per biocarburanti, fattorie solari e turbine eoliche, per guadagnare qualche anno di riscaldamento moderato. Oppure possiamo proteggere le zone dove resistono animali e piante selvatiche, anche a costo di accelerare leggermente la catastrofe umana. Un vantaggio di questo secondo approccio è che, se arrivasse una cura miracolosa, resterebbe ancora qualche ecosistema intatto da salvare.

Il cambiamento climatico ha molte caratteristiche in comune con il sistema economico che lo sta accelerando. Come il capitalismo, è transnazionale, imprevedibilmente distruttivo, si autoalimenta ed è inesorabile. Non teme la resistenza individuale, crea grandi vincitori e grandi perdenti e tende verso una monocultura globale: l'estinzione della differenza a livello di specie, una monocultura dei programmi a livello istituzionale. Inoltre è perfettamente compatibile con l'industria tecnologica, perché promuove l'idea che solo la tecnologia tramite l'efficienza di Uber o qualche colpo da maestro della geoingegneria potrà risolvere il problema delle emissioni di gas serra.

Il lavoro di conservazione al contrario è romanzesco. Non esistono due posti uguali e non esistono narrazioni semplici. Franzen racconta una serie di azioni osservate sulle Ande e in Costa Rica, azioni limitate nello spazio e nel tempo con una forte efficacia complessiva.

In una piccola comunità indigena sugli altipiani ad est di Cuzco, con l'aiuto della Amazon Conservation, la comunità sta riforestando le pendici delle Ande, domando gli incendi e sviluppando il commercio di un legume locale che viene venduto nei mercati della regione, il Tarwi. Un buon progetto di conservazione deve soddisfare nuovi criteri. Deve essere un progetto ampio perché la biodiversità non può sopravvivere in un habitat frammentato da piantagioni di palma da olio o da impianti di trivellazione. Deve rispettare e accogliere le popolazioni che vivono nella zona. E deve essere un progetto capace di resistere al cambiamento climatico. Lungo i 90 chilometri della strada che scende dagli altipiani si possono vedere quasi 600 specie di uccelli. La strada raggiunge il fondovalle dove un' ex-hacienda ora ospita un centro educativo, un albergo per eco-turisti e una fattoria sperimentale. L'obiettivo del progetto è creare una cintura protettiva di piccole riserve, comunità autosufficienti e "concessioni" di conservazione su terreni statali. La cosa più straordinaria del lavoro di Amazon Conservation è il basso impatto del suo intervento. Gli allevamenti ittici su scala ridotta nella regione amazzonica, usano specie native, sono una delle fonti di proteine animali più sostenibili e meno distruttive.  Ciò contrasta con l'enormità dei progetti sul cambiamento climatico: le gigantesche turbine eoliche, le fattorie solari a perdita d'occhio, le nubi di particelle riflettente immaginate dai geo-ingegneri.

In Costa Rica, nell'Área de Conservación Guanacaste (Agc) è stato sperimentato un nuovo approccio alla gestione dei parchi, che sono stati affidati a personale che risiede nel territorio del parco e che svolge contemporaneamente attività di conservazione e di ricerca scientifica. E' stata addirittura coniata la parola di "paratassonomisti" per indicare il lavoro di ricerca e di catalogazione svolto da personale non professionista. Questa pratica ha sviluppato un forte senso di radicamento nel luogo, i fenomeni di bracconaggio e disboscamento sono quasi scomparsi, i rapporti con le popolazioni indigene sono molto migliorati.

Negli ultimi tempi la tecnologia ha permesso di ricavare l'etanolo dalla cellulosa. Da un punto di vista climatico il miraggio di una efficiente produzione di biocarburante è irresistibile, ma in realtà porterà ad un nuovo disastro. Le terre più fertili della Costa Rica sono già state cedute al business delle monocolture. Finché la necessità di attenuare il cambiamento climatico avrà la meglio su ogni altro problema ambientale, nessun paesaggio del pianeta sarà al sicuro. Il climatismo, come il globalismo, crea estraneazione. Oggi gli Americani vivono lontano dal danno ecologico causato dalle loro abitudini di consumo. Solo apprezzare la natura come un insieme di specifici habitat minacciati, e non come una cosa astratta che sta morendo, potrà impedire il completo snaturamento del mondo.

Sintesi di un articolo pubblicato sul numero 1106 di INTERNAZIONALE - 12/18 giugno 2015

I dilemmi di un ambientalista

Jonathan Franzen, The New Yorker, Stati Uniti.

www.newyorker.com ...