La ricchezza rovina il nostro pianeta. Inoltre, ostacola anche la necessaria trasformazione verso la sostenibilità, condizionando le relazioni di potere e gli stili di vita. Per dirla senza mezzi termini: i ricchi fanno male alla Terra.

 

Queste sono, più o meno, le conclusioni di un nuovo studio pubblicato sulla rivista Nature Communications.

Tutto questo cozza con le convinzioni dei più, sopratutto nei paesi calvinisti. Nelle società in cui il denaro può comprare quasi tutto, essere ricchi è generalmente percepito come qualcosa di buono. Implica libertà, poche preoccupazioni, felicità, status sociale.

I fatti sono chiari: lo 0,54% più ricco del pianeta, circa 40 milioni di persone, è responsabile del 14% delle emissioni di gas serra legate allo stile di vita, mentre il 50% più povero, quasi 4 miliardi di persone, emette solo circa il 10%. Se guardiamo all'impatto che va oltre la CO₂, i 10 percettori di reddito più importanti del mondo sono responsabili di almeno il 25% e fino al 43% dell'impatto ambientale complessivo.

La maggior parte delle persone che vivono nei paesi sviluppati, comunque, ha impatti rilevanti. Quindi, anche le persone povere che vivono nei paesi ricchi hanno un'impronta che, anche se non paragonabile a quella dei ricchi in senso stretto, è molto maggiore rispetto alla media globale, e sicuramente insostenibile.

Queste affermazioni mettono seriamente in crisi chi da sempre imputa alla sovrappopolazione la causa del disastro planetario. A ben vedere, non sarebbe sufficiente controllare le nascite, per salvare il pianeta: sarebbe meglio concentrarsi sul controllo delle nascite dei ricchi.

I miglioramenti tecnologici danno l'illusione di ridurre le emissioni e altri impatti ambientali, ma portano con sé aumento della ricchezza, ovvero della sola e vera responsabile di tutti gli impatti.

E sembra altamente improbabile che questa relazione cambierà in futuro. Anche le tecnologie più pulite hanno i loro limiti e richiedono ancora risorse specifiche per funzionare, mentre i risparmi in termini di efficienza spesso portano semplicemente a un maggiore consumo, lo abbiamo visto in L'auto elettrica non è ecologica.

Se la tecnologia non è sufficiente, anzi è dannosa, è indispensabile ridurre il consumo dei ricchi, dando vita a stili di vita orientati alla sufficienza: "better but less" (meglio ma meno). Facile a dirsi, però, perché c'è un problema.
Il lockdown ha visto un forte calo dei consumi, della CO₂ e delle emissioni di inquinanti atmosferici. Ma è stato un fenomeno accidentale ed estemporaneo. Per ridurre i consumi quanto è necessario in modo socialmente sostenibile, salvaguardando al contempo i bisogni umani e la sicurezza sociale, è necessario superare il dogma della crescita economica. E questa volta non ce lo dicono filosofi a la page, ma scienziati.

I ricchi hanno un interesse nel promuovere deliberatamente alti consumi e ostacolare stili di vita orientati alla sufficienza. Il "consumo posizionale" è un altro meccanismo chiave: avviene cioè che molte persone consumano sempre più beni di status. Questo crea una spirale di crescita, dovuta alla ricerca di essere "superiori" rispetto ai propri pari.

Lo studio esamina tutte le possibili soluzioni proposte finora, anche quelle radicali: sviluppo sostenibile, decrescita, eco-femminismo, eco-socialismo ed eco-anarchismo. Tutti questi approcci hanno in comune il fatto di concentrarsi su risultati ambientali e sociali positivi e non sulla crescita economica. È interessante notare che sembra esserci una certa sovrapposizione strategica tra loro, almeno a breve termine.

Iniziative di base come Transition Towns ed eco-villaggi possono essere esempi di ciò, portando a cambiamenti culturali e di coscienza. Alla fine, tuttavia, sono necessarie riforme politiche di vasta portata, compresa la fissazione di redditi massimi e minimi, le ecotasse, la proprietà collettiva e altro ancora. Esempi di politiche che iniziano a incorporare alcuni di questi meccanismi sono i New Green Deal negli Stati Uniti, nel Regno Unito e in Europa o il Bilancio del benessere della Nuova Zelanda 2019.

In definitiva, l'obiettivo è quello di stabilire economie e società che proteggano il clima e gli ecosistemi e arricchiscano le persone con benessere, salute e felicità anziché con soldi.
I politici progressisti tradizionali parlano di "consumo ecologico" o di "crescita sostenibile". Tuttavia, la ricerca conferma che, in realtà, non ci sono prove che questo consumo critico, o sostenibile, stia effettivamente accadendo.

Sarebbe bello stesse accadendo per davvero. Ma abbiamo davvero poche speranze. E non è nemmeno detto che, mettendoci tutti d'accordo, riusciremmo a invertire un destino che sembra già scritto (vedi PIL - Proemo a Invertir Leconomia). Per il momento, è già consolante che qualcun altro si sia accorto che ricchezza e la crescita economica sono un danno per il pianeta.