In Valsusa si sta svolgendo lo scontro cruciale per la sopravvivenza del capitalismo così come lo conosciamo. Chi vince, porta a casa la legittimazione del proprio modello economico e del proprio stile di vita. Il PD gioca da protagonista.
Avrete sicuramente notato il fuoco di fila che in questi giorni sta investendo il movimento no-TAV. Le armi dell'informazione mainstream sono le solite: presentare l'opera come utile e determinante per non perdere il treno dello sviluppo, provocare la violenza per poi denunciarla, e accomunare, in un orrendo minestrone, i capi della rivolta valsusina, come Luca Abbà o Alberto Perino, con qualche facinoroso spuntato ad hoc.Non si spiegherebbe altrimenti la comparsa, casualmente proprio in questi giorni, di un documento attribuito alle nuove Brigate Rosse, datato febbraio 2013, inneggiante a metodi poco ortodossi per ostacolare i cantieri. Come potete vedere qui, la stampa di regime non ci va giù leggera.
Come sapete, l'oggetto della contesa è la linea ferroviaria ad alta velocità Torino-Lione, un'opera considerata costosa e inutile, ma soprattutto dannosa per il territorio e i suoi abitanti.
Dal 1991, il movimento di protesta, composto principalmente da cittadini della Val di Susa in Piemonte, vi si oppone. Il governo italiano e l'Unione Europea sono determinati a portare avanti il progetto che considerano strategico in quanto il suo scopo sarebbe quello di collegare il nord Italia con l'Europa dell'est. I sindaci dei comuni della Valle e i loro cittadini sostengono che la costruzione di un'altra linea ferroviaria sia completamente ingiustificata, dato che il traffico di merci in quella già esistente è minimo.
L'opera verrebbe a costare circa 30 miliardi di euro allo Stato italiano, con il loro corollario di appalti e mazzette, in un momento in cui si chiede ai cittadini italiani di stringere la cinghia a causa della crisi.
La repressione del movimento da parte delle forze dell'ordine è stata particolarmente dura negli ultimi mesi. C'è un motivo particolare che spinge i poteri forti a scagliarsi contro il movimento no-TAV con questa inaudita violenza?
Forse sì: il movimento no-TAV è stato il primo, a memoria, a non caratterizzarsi come comitato NIMBY (Not In My BackYard - non nel mio cortile). Gli attivisti non chiedono infatti di forare le montagne da un'altra parte, ma sostengono, con prove concrete, che l'opera non si deve fare, né qui né altrove.
Questo sconvolgimento della dialettica impedisce al potere di usare le armi consuete, come la riduzione dei comitati a meri interessi localisti, messi di conseguenza l'uno contro l'altro, e superati in nome di una superiore finalità.
Ma l'aspetto più importante della questione è che i no-TAV propongono un modello di benessere completamente diverso, confutando gli assiomi della crescita infinita e della globalizzazione. In questo modo mettono in crisi il capitalismo in sé stesso.
Il sistema politico/economico non era preparato a critiche così profonde e radicali, per questo sta reagendo scompostamente.
Questa battaglia è cruciale sopratutto per il PD, la cui ambiguità in tutta questa faccenda non è sfuggita a nessuno. E il motivo è semplice: se per la destra il sostegno alla TAV è di origine quasi interamente ideologica (non possono sopportare che un gruppo di fricchettoni straccioni riesca a fermare il progresso), per il partito del primo ministro si tratta di una questione di sopravvivenza.
Il partito è pesante e burocratizzato, in pratica un'idrovora di denaro, e i finanziamenti pubblici non bastano mai: esso si regge sui contributi volontari conferiti da una rete di cooperative dalle dimensioni enormi. Queste cooperative lavorano, ovviamente, grazie ai finanziamenti erogati al partito, ma il sistema è ben congegnato, quindi perfettamente legale. Questo è il motivo per cui il pool di Mani Pulite non riuscì a scardinarlo, con buona pace di PSI e DC, che invece furono sconvolti dall'indagine giudiziaria.
Il PD ha estremo bisogno di denaro, soprattutto ora che è incalzato dai Cinque Stelle sui finanziamenti pubblici, e quindi deve far lavorare le sue cooperative. Ergo, ha estremo bisogno di grandi opere, come la TAV, o il traforo delle Torricelle.
Già, perché anche qui a Verona la battaglia infuria, e molti non hanno ancora capito da che parte stare.