Come cambia l'economia rurale, tra monocoltura, civiltà dell'auto, ricchezza e valore dei terreni. Può il comportamento virtuoso di pochi cambiare il ciclo economico? No, ma fa bene all'anima. L'intervento di veramente.org al dibattito di ieri alla festa "Sensibili ai licheni".
Che cos'è questa valle per una famiglia che viene dal mare, che non sappia niente della luna e dei falò? Bisogna averci fatto le ossa, averla nelle ossa come il vino e la polenta, allora la conosci senza bisogno di parlarne.
Cesare Pavese, La luna e i falò
Una realtà complessa come l'economia, anche quella rurale, può essere decodificata analizzando le strutture più semplici. La particella elementare dell'economia rurale è costituita dalle contrade venete, minuscoli agglomerati di case da tempo immemore presenti nel nostro paesaggio extraurbano.
Da quando queste strutture comparvero fino al secondo dopoguerra la struttura sociale rimase immutata: vi vivevano alcune famiglie (in genere meno di una ventina), quasi tutte occupate nella coltura dei fondi cui la contrada faceva riferimento. Era un'agricoltura molto integrata e diversificata, che vedeva contemporaneamente nella stessa azienda colture annuali come i cereali, frutta, ortaggi, e qualche animale, per la produzione di carne, latte, uova, e forza motrice.
Raramente qualcuno era impiegato in settori diversi dall'agricoltura, come il commercio ambulante, ancor più rari erano gli artigiani, intesi come professionisti, visto che i lavori di produzione degli utensili più semplici erano svolti in loco. Uno schema economico di sussistenza.
Dopo la fine della seconda guerra mondiale, in relazione allo sviluppo industriale che in quel momento iniziò la sua fase più tumultuosa, la contrada iniziò lentamente un profondo cambiamento. Come ci appare oggi l'antica contrada?
Sicuramente come un sistema sociale molto più aperto, cioè fortemente influenzato dall'esterno. Dei numerosi abitanti, uno solo, al massimo, si occupa di agricoltura. Con il suo piccolo parco macchine riesce a coltivare non solo i fondi pertinenti (resi sempre più piccoli dalla cementificazione), ma anche altre terre, pertinenza di altre contrade.
Gli altri abitanti sono impiegati tutti in città, e fanno i pendolari, rendendo la vita e la frequentazione della contrada assai scarna. I fondamenti tecnologici di questo cambiamento sono due: la monocoltura, che rende l'agricoltura fortemente meccanizzabile, e quindi richiede molto meno personale stabile, e l'automobile, che consente a tutti i pendolari di spostarsi velocemente e a basso costo.
È evidente a occhio nudo, senza fare tediose analisi di flussi finanziari ed energetici, che il sistema così formato non è sostenibile. O meglio, è sostenibile in quanto aperto, ovvero è un sistema che poggia sulla globalizzazione. Se l'unico agricoltore/terzista si occupa di un solo prodotto (mais, uva, eccetera) è chiaro che il sistema mondo deve provvedere al sostentamento di tutti gli abitanti per tutte le loro esigenze alimentari.
Questo fatto manifesta una debolezza strutturale, il sistema non è resiliente, ma non è automaticamente un problema: se noi confidiamo che il sistema economico globalizzato sia solido (e giusto) non è sbagliato contare su di esso. I membri della contrada si approvvigionano di denaro in città, e con esso pagano la propria alimentazione e i propri spostamenti.
È altrettanto chiaro però che l'agricoltura, economicamente, sostiene una parte minuscola della popolazione (l'agricoltore/terzista e nemmeno tutta la sua famiglia, se qualche altro componente lavora in città). E questo è già più problematico visto che stiamo parlando di una comunità di stampo prettamente rurale. Che senso ha vivere in campagna quando quasi nessuno di questa campagna campa?
Come detto, a fare le spese di questa struttura socio-economica sono le relazioni. I pendolari vivono le proprie vite in città, e usano la contrada solo come luogo per dormire. La bellezza del luogo, unita alla velocità dell'automobile, è l'unico motivo che trattiene queste persone nella contrada.
È questa la Valpolicella che vogliamo? È questa l'economia che vogliamo nelle nostre campagne? Probabilmente no. Ci sono alternative? Probabilmente no. Per questo motivo ci sono delle élites intellettuali (Gruppi di acquisto solidale, Movimento per la Decrescita) che propongono un diverso approccio di governo del territorio, non inteso solo in senso politico, ma soprattutto sociale ed economico.
una rete di relazioni appagante, con persone accomunate dagli stessi valori, impegnate nella costruzione collettiva di qualcosa.
In particolare con i GAS i partecipanti si aiutano a vicenda e si suddividono i compiti per la gestione degli acquisti, rifacendosi al principio della mutua assistenza tipico delle antiche comunità rurali. Si realizza così la ricomposizione del legame con la terra, nella fattispecie con il produttore, un legame rotto fin dai tempi della rivoluzione industriale, quando si realizzò la separazione tra agricoltura e industria, e quindi tra campagna e città.
Può questo movimento diventare un modello alternativo al sistema attuale? Secondo alcuni attivisti, esiste la massa critica, un numero-soglia di aderenti al circuito, al di sopra del quale le reazioni positive (cioè di attrazione di nuovi adepti) superano quelle negative (gli abbandoni fisiologici), innescando l'automatica deflagrazione del fenomeno sociale alternativo, che, da quel momento in poi, sarebbe destinato a crescere in maniera autonoma, sostituendosi al sistema dominante.
Il problema è che, a fronte di una buona crescita di questi movimenti, la crescita del sistema globalizzato è impressionante: in 15 anni l'idea dell'economia solidale ha fatto nascere 2000 GAS in Italia: sono molti, ma quanti centri commerciali sono nati nello stesso intervallo temporale? E quante persone ciascuno di questi ha coinvolto in un modello economico folle e insostenibile? Stiamo parlando di numeri molto superiori al tre per mille raggiunto faticosamente dai GAS.
È lecito aspettarsi che in futuro questi rapporti di crescita siano destinati a invertirsi, in considerazione del fatto che il sistema globalizzato si basa sulla crescita, che in un sistema finito non può essere infinita. Ma fino ad allora non è opportuno riporre eccessiva fiducia nei movimenti alternativi, che però hanno alcune importanti funzioni.
La prima, abbiamo detto, quella sociale: portare nei gruppi sociali un po' delle relazioni che caratterizzavano il sistema rurale. Una seconda è la cultura, basata sul rispetto della terra e del prossimo. Una terza è il tenere vive tutte le pratiche (l'orto, la costruzione e la riparazione degli utensili, l'autoproduzione di pane e alimenti, il riuso, il riciclo, etc.) che nell'economia globalizzata non sono convenienti e non hanno senso, ma che assicureranno la resilienza nel momento in cui la globalizzazione entrerà in crisi.