Ho sempre bevuto volentieri un bicchiere di Valpolicella, anche due, ma da un po' di tempo non ne bevo più. Per due motivi. Il primo è che oramai associo questo vino con la distruzione del territorio provocata dall'impianto dei vigneti. Il secondo è che il Valpolicella ha perso tutte le qualità che gli attribuiva Hemingway.
"Dry, red and cordial, like the home of a brother one gets on with" (secco, rosso e cordiale come la casa di un fratello con cui si va d'accordo). Queste le parole utilizzate da Ernest Hemingway per definire il Valpolicella nel romanzo DI LÀ DAL FIUME E TRA GLI ALBERI del 1950. Sul Valpolicella, nello stesso romanzo, Hemingway esprime un giudizio poco lusinghiero. Secondo Hemingway, il vino Valpolicella non va imbottigliato. Non è adatto, secondo il giornalista e scrittore americano, ad essere messo in bottiglia.Hemingway fa dire al protagonista del suo romanzo, il colonnello Richard Cantwell: "Secondo me il Valpolicella è più buono quando è giovane. Non è un grand vin e imbottigliarlo e attaccarci sopra gli anni significa fargli accumulare più fondo".
Mario Soldati vent'anni più tardi si rimetterà sulle tracce del Valpolicella di Hemingway: "Sono dunque andato sui colli della Valpolicella vedendo se mi riusciva di rintracciare non "quel vino" (ormai, dopo più di vent'anni, non sarebbe nemmeno più buono) ma "quel gusto": leggero, scivoloso, passante, appena appena abboccato, appena appena amarognolo, che Hemingway descrive così bene e che, ancora meglio, lascia indovinare per la straordinaria quantità che il suo personaggio (ma in realtà lui stesso) ne beve.
E' appena necessario che aggiunga che non ho più trovato niente che assomigli, neanche da lontano, al Valpolicella di Hemingway".
Ho sempre bevuto volentieri anch'io un bicchiere di Valpolicella, anche due, ma da un po' di tempo non ne bevo più. Per due motivi. Il primo è che oramai associo automaticamente questo vino con la distruzione del territorio provocata dall'impianto dei vigneti. Il secondo è che il Valpolicella ha perso tutte le qualità che gli attribuiva Hemingway.
Dappertutto la distruzione degli habitat, delle specie protette, del paesaggio collinare avanza come un uragano inarrestabile e lascia dietro di sé solo dei monotoni filari di vigne. Dove c'erano ulivi, ciliegi, siepi, boschetti, vai, prati aridi, balze, marogne, ora troviamo solo colline spianate e piantate a monocoltura.
So che la situazione è identica anche sulle colline moreniche, in Valpantena, in Val d'Illasi, in Val Tramigna, a Soave e (almeno in parte) in Val d'Alpone. Paolo Panarotto, esperto di orchidee selvatiche, mi racconta della distruzione in atto alla Croce del vento. Anche se sembra incredibile, siamo sempre dentro al DOC Valpolicella (vedi mappa a fine articolo).
Sulle caratteristiche del vino da tavola che si produce attualmente in Valpolicella si potrebbe disquisire a lungo e non credo che si arriverebbe ad una conclusione condivisa. Mi riferisco ovviamente al vino descritto da Hemingway, non alle varie diavolerie che adesso vanno tanto di moda.
I nostri viticoltori, ma forse sarebbe più giusto dire le aziende vinicole, hanno deciso di puntare tutto sull'Amarone, caso mai sul Ripasso e, mal che vada, sul Superiore. Le uve migliori vengono messe ad appassire, vengono pagate una fortuna e la richiesta continua ad aumentare.
Per il vino da tavola vengono utilizzati gli scarti, le uve immature, i grappoli attaccati dalla botrite. Adesso stiamo bevendo il vino prodotto con la raccolta del 2014. Era piovuto tutta l'estate, non aveva mai fatto caldo, il sole s'era visto a minuti, le vigne erano malate, i grappoli pieni di marciume, erano stati utilizzati quantitativi esagerati di anticrittogamici e di antiparassitari e a fine stagione c'era chi giurava che sarebbe stata una buona annata.
Tutti sappiamo che l'enologo fa miracoli e che il laboratorio è in grado di rimediare (con un po' di chimica) qualsiasi difetto, ma a me non sembra che i risultati siano così brillanti. Mediamente ne esce un vino scadente, senza arte né parte, privo di quelle caratteristiche organolettiche che sono indispensabili per caratterizzare un vino.
Probabilmente non vale la pena di impegnarsi troppo sul vino da pasto, forse non è sufficientemente remunerativo, fatto sta che in Italia vengono prodotte decine di vini da tavola molto più interessanti del Valpolicella.
Leggo sull'etichetta di un ottimo vino prodotto dalla comune di Urupia nel Salento: "La cura dei terreni e la trasformazione dei prodotti non sono garantite per scelta da un marchio, ma solo dalla trasparenza delle pratiche adottate e dal rapporto diretto con le persone".