Sparisce l'auto ad aria compressa. Colpa dei petrolieri' Storia di una bufala che poggia sull'insostenibilità del nostro modello economico.

La catena di sant'Antonio è un sistema per propagare un messaggio inducendo il destinatario a produrre copie da spedire, a propria volta, a nuovi destinatari. Pratica antichissima, è oggi tornata a nuova vita grazie alla posta elettronica. Ormai tutti noi siamo quotidianamente vittime di storie che scatenano la nostra indignazione, e ci trasformano in cyber-fresconi indignati, che cliccano il tasto 'inoltra', senza valutare se ciò che stiamo diffondendo sia vero o, in gergo, una bufala.

Da un po' di tempo, nelle nostre caselle, sono comparse le eco-bufale, la variante ambientalista delle bufale elettroniche, altrettanto emotive, disinformatrici e cialtrone. Una di queste riappare in questi giorni (era comparsa la prima volta nel 2006) e si lamenta della scomparsa mediatica della Eolo, l'auto ad aria compressa.

Il target è chiaro: tutte le persone eco-sensibili che, all'uscita delle prime notizie, avevano accarezzato l'idea di un'auto anticonformista, minimale, ecologica e pure economica (diciotto milioni di lire per l'acquisto e millecinquecento lire per percorrere cento chilometri).

Come le altre bufale, anche questa contiene il meccanismo virale di propagazione ("se ci mettiamo tutti a farla girare ci vorrà poco a fargli un bel casino..."), l'inutilità dell'appello, e un po' di teoria del complotto, che non guasta mai. Il comunicato, infatti, adombra l'ipotesi di un piano preciso da parte dei soliti petrolieri.

In realtà la Eolo ha avuto una storia tutt'altro che misteriosa: presentata nel dicembre del 2001 al Motorshow di Bologna, riuscì ad avere diversi milioni di euro di finanziamento dalla Ue per aprire, almeno formalmente, molte fabbriche in Europa. Questo creò false aspettative di lavoro per oltre 90 operai in Italia, che attualmente non se la passano troppo bene.

Nonostante il successo mediatico e commerciale, non si produsse nemmeno un'auto, esclusi i prototipi che venivano mostrati in giro senza entusiasmare. Già, l'Eolo aveva seri problemi tecnici, rumorosa, poco efficiente (altro che cento Km con 1500 lire!) ed enormi problemi di raffreddamento. In realtà, raffreddarla non è difficile: il gas, espandendosi, congela le tubazioni dell'aria compressa, rendendo la macchina inservibile.

Altra balla: il progetto non è stato boicottato dal grande giro dell'industria automobilistica, visto che il colosso indiano Tata, annunciò l'anno scorso di aver rilevato il brevetto per la produzione in serie della Eolo .

Come sempre, invitiamo tutti a non far circolare le dannate catene di S.Antonio via mail, che spesso ci rendono complici della circolazione di una menzogna, ma sul caso specifico abbiamo qualche considerazione da fare.

Problemi tecnici a parte, il difetto sta nel manico. Ugo Bardi sostiene che l'auto ad aria, come quella a idrogeno o energia elettrica, "sposta il problema dell'inquinamento dal tubo di scappamento alla centrale elettrica, senza risolverlo". E non c'è alcuna differenza concettuale tra la Eolo e la cinquecento elettrica: quest'ultima, però, funziona.

Ma il problema è ancora più profondo: non c'è abbastanza energia per scorrazzarci tutti a bordo di queste orrende scatole di latta, qualunque sia la fonte. Siamo come bambini, abituati a una mobilità insostenibile grazie a un'enorme disponibilità di energia a basso costo, il petrolio, accumulata in milioni di anni di paziente lavoro del sole, che ci stiamo fumando in poche generazioni.

Per questo, ora che vediamo il fondo del barile, ci attacchiamo a ogni cagata che esce sui giornali: la fusione fredda, l'idrogeno, l'aria compressa, gli aquiloni solari, e alle conseguenti illusioni di aver risolto il problema di energia agratis o quasi. E chi ci smentisce queste bufale, è autore di complotti.

Non è fuori di noi che dobbiamo cercare la fonte di energia che ci salverà. Come diceva Quelo (Corrado Guzzanti): "la risposta è dentro di te. Epperò è sbagliata".

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