Inchiesta su COOPSETTE, l' azienda che costruirà l' autodromo nella Bassa Veronese.

Ormai è tutto pronto per la posa del primo mattone del "Motor City" veronese, l'enorme autodromo-centro commerciale- polo scientifico che dovrebbe ospitare anche gli eventi di Formula 1 e della MotoGp: ad alcuni sembra già di vedere nei ristoranti di Vigasio e di Trevenzuolo Valentino Rossi o Louis Hamilton alle prese con risotti al tastasal e salami immersi in calda polenta. Parliamo di una struttura che ha pari solo nella ricchissima terra di Dubai e che sorgerà nella modesta Bassa, con tanto di caselli autostradali dedicati e incremento dei turisti del "milione per cento". Esiste persino un comitato che si batte contro chi non vorrebbe l'autodromo o lo vorrebbe diverso; contro chi magari avrebbe preferito che rimanesse un autodromo e non che, di deroga in deroga, passasse da un opera di 2 milioni di metri quadri ad una che sarà grande più del doppio: 4 milioni e mezzo. Pochi si fanno domande invece su chi sia questa enorme azienda che investirà mille e cinquecento milioni di euro e "porterà turismo, lavoro e benessere" come dicono quelli del "si"; che in ogni caso intascherà 420 mila euro di fondi pubblici divisi tra Regione e comuni interessati. La Coopsette infatti è un colosso delle celebri cooperative "rosse" che ha sede a Castelnuovo di Sotto, in provincia di Reggio Emilia; un'azienda che nel 2007 ha avuto un giro d'affari di 435 milioni di euro e che soprattutto in Liguria ha fatto man bassa degli appalti pubblici. Al timone vi sono Fabrizio Davoli, presidente, Raimondo Montanari, direttore generale e Flavio Ferrari che riveste la carica di vicepresidente. Una impresa forse sconosciuta agli abitanti della Bassa che già sognano "schei" e merchandising ma notissima alle procure di mezza Italia che dagli anni Novanta si sono occupati sia della Coopsette che di alcuni suoi ex dirigenti, firmando per loro diversi ordini di custodia cautelare. Già dal 1993, in pieno periodo Mani Pulite, la Coopsette veniva citata nei rapporti dei collaboratori di giustizia e nelle aule giudiziarie: in quell'anno il pentito Giuseppe Inzaghi, ex consigliere d' amministrazione del Policlinico San Matteo di Pavia invischiato nell'indagine "Mani pulite", viene chiamato a rispondere delle tangenti pagate dalle aziende che sono impegnate nella ristrutturazione del policlinico di Pavia; tra queste c'è proprio l'impresa di Castelnuovo di Sotto. Il 27 maggio dello stesso anno invece a Genova Donato Fontanesi, allora presidente di Coopsette, viene iscritto nel registro degli indagati con il reato di corruzione: per l'accusa ha versato una tangente da 50 milioni di lire al leader del partito socialista ligure, Delio Meoli, che ha ammesso ai giudici di aver incassato la bustarella. Nella stessa inchiesta verrà sentito come persona informata anche Giovanni Panciroli, all'epoca direttore marketing dell'impresa che ritroveremo più avanti. Anno funesto quello di "Tangentopoli" per la Coopsette: a Roma, nell'inchiesta relativa alle tangenti per gli appalti delle Ferrovie dello Stato, vengono emessi ordini di custodia per Eros Musa e Dario Iori, facenti parte della cooperativa emiliana. Ma è proprio in Liguria che Coopsette ha fatto i suoi maggiori e migliori investimenti: nessuno può sapere se questa "affezione" alla Lanterna derivi dai rapporti tra la cooperativa e Claudio Burlando, oggi presidente della regione allora sindaco di Genova, testimoniata da un appunto scritto di suo pugno dal finanziere italo-svizzero Francesco Pacini Battaglia che nella sua agenda aveva collegato con una freccia il cognome del politico con quello della cooperativa Coopsette; una vicenda questa che portò nel 1996 ad un'inchiesta che coinvolse anche il leader dell'Italia dei Valori Antonio Di Pietro, poi assolto in pieno dalla accuse e che portò le forze di polizia a perquisire la sede della Coopsette in terra emiliana. Ma è l'anno prima, il 21 gennaio del 1995, che ai piani alti dell'azienda emiliana sentono per la prima volta il sinistro tintinnio delle manette: nell'inchiesta per le celebri tangenti "pentapartitiche" della metropolitana milanese, la Guardia di Finanza arresta Giovanni Panciroli, all'epoca vicedirettore generale e responsabile della divisione costruzioni di Coopsette. L'ipotesi è concorso in corruzione per aggiudicarsi assieme ad altre aziende i lavori da 128 miliardi di lire del metrò. In un blitz di poche settimane prima, sempre all'interno della stessa inchiesta, era finito in carcere un altro funzionario della cooperativa, Roberto Terenziani. In quegli anni sono in tanti a chiedersi come sia possibile che la cooperativa del piccolo centro emiliano riesca ad aggiudicarsi appalti pubblici con tale semplicità: a vincere tutte le gare. Tra questi c'è Michele Perini, imprenditore nel settore dei mobili, che all'epoca dichiarò ai giornali: "a Venezia facemmo un offerta inferiore del 30 per cento rispetto a quella della cooperativa, ma stranamente vinse Coopsette. Noi non eravamo riusciti a conoscere gli elementi che davano punteggio, evidentemente era un capitolato messa appunto per Coopsette. Stesso discorso a Roma: la cooperativa su una gara da 20 miliardi era diciassettisima come prezzo, noi settimi: vinse di nuovo lei". E di fortuna nelle gare d'appalto non è che ne serva poi molta. Sempre nel 1995, da un altro versante del paese giunge alla Coopsette un'altra denuncia per evasione fiscale per decine di miliardi relativi ala costruzione del centro commerciale "Gru" di Grugliasco, nel torinese. Questa volta ad essere colpita è la società Galileo, costituita al 50% da Coopsette e da un altro gruppo. Viene denunciato per falso in bilancio Enrico Banfi, all'epoca presidente della cooperativa. Veneziano è invece il pm Carlo Nordio, che nel 1996 si occupa delle indagini che coinvolgono anche Massimo D'Alema e Achille Occhetto: secondo l'accusa, all'epoca delle Colombiadi genovesi, delle celebrazioni in memoria del navigatore ligure, i due politici avevano segnalato al ministro per i lavori pubblici Giovanni Prandini alcune aziende, tra le quali Coopsette: a raccontarlo è lo stesso ministro. Le prime condanne ai danni dei dirigenti di Coopsette arrivano nel 1997: Giovanni Panciroli viene condannato ad un anno e sei mesi di reclusione per corruzione. "Disgrazie" che giungono fino al 2005, quando viene indagata come persona giuridica la "Milano Logistica Spa" la società partecipata dalla Coopsette. Il suo commercialista, Giuseppe Berghella, allora consulente della cooperativa, ha pagato una tangente da 50mila euro a tre alti dirigenti dell'Agenzia delle Entrate per conciliare con 494 mila euro un debito che andava oltre 3 milioni di euro. La consegna della busta con il denaro viene addirittura ripreso dalle telecamere della polizia. In una intercettazione gli investigatori ascoltano Panciroli che festeggia con il commercialista per l'esito dell'"accordo": "I 4 e 94 stavamo nell' area del nostro budget...è la restante parte quella che non funziona". Ma il commercialista, ridendo, ribadisce di non avere altri margini di manovra con i funzionari: "Dottore, io non...io gliel' ho detto vis a vis quello che le dovevo dire...quindi non posso farle...non posso venirle incontro assolutamente da quel punto di vista". Berghella non poteva fare altro che ammettere le proprie colpe e patteggiare una pena di un anno e 6 mesi. Ma a finire sotto l'occhio del ciclone sono anche i rapporti con alcune aziende fornitrici della Coopsette in Liguria, tra le quali figurano quelle chiacchieratissime della famiglia Mamone, ritenuta dalla Dia legata alla cosca ‘ndranghetista Mamoliti di Oppido Mamertina. Gli stessi Mamone sono attualmente indagati dalla procura di Genova per appalti e corruzione e voto di scambio con le cosche della 'ndrangheta. Quando Roberto Galullo lo scrisse sul Sole24Ore il presidente di Coopsette, Fabrizio Davoli, non si preoccupò se i legami con la mafia fossero veri: si limitò a dire: "nello scegliere i propri fornitori l'azienda rispetta la legge".

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