Nei coccodrilli dedicati a Mandela, in questi giorni, si sta leggendo di tutto: che è stato uno dei personaggi più importanti del '900, che è stato un monumento della non-violenza, che ha rappresentato la vittoria più limpida di un movimento autenticamente di sinistra, e di cui nessuno si può vergognare, perché non ha tradito gli ideali. Tutte esagerazioni? Vediamo di smontarle una a una.
È stato uno dei personaggi più importanti del secolo scorso? Beh, sì. Se escludiamo i personaggi negativi, quelli che hanno cambiato la storia in peggio, possiamo dire tranquillamente che Mandela possa sedere tranquillamente tra i grandi del secolo, accanto a Gandhi (che però non portò a termine la propria rivoluzione), a Freud o a Einstein (bomba o non bomba), e sicuramente in posizione migliore rispetto ai fratelli Kennedy, Roosevelt, Wojtyla.
È stato un monumento della non-violenza? Proprio lui che prima di finire in carcere (e anche durante la detenzione, per quanto gli fu possibile) incitò e coordinò la lotta armata contro l'esercito bianco? Beh, sì: la svolta in questo senso la effettuò dopo essere uscito da galera. Non solo si insediò al potere nel 1994 democraticamente, ma impedì, grazie al carisma e al credito di cui godeva, qualsiasi tipo di vendetta da parte del popolo nero nei confronti degli antichi oppressori. Con queste azioni riscattò pienamente il suo passato di (quasi) guerrigliero.
Il suo capolavoro politico fu la commissione per la verità e la riconciliazione (Truth and Reconciliation Commission), il tribunale straordinario istituito per raccogliere la testimonianza delle vittime e dei carnefici di entrambe le parti durante il regime. Il tribunale conseguì una ricostruzione molto accurata dei fatti avvenuti, e questo diede soddisfazione alle vittime e alle loro famiglie, senza caratterizzarsi come vendetta, visto che i rei confessi furono in gran parte amnistiati.
Un esempio sublime di non-violenza, che potrebbe essere preso a monito da tutti coloro che, uscendo da regimi sanguinosi e dittatoriali, preferirono seguire la strada della vendetta o dell'insabbiamento, come facemmo noi italiani nel secondo dopoguerra. L'esempio di Mandela e dell'African National Congress di allora mostra a tutti che la verità è fondamentale, anche e soprattutto se a essa segue la riconciliazione. Le vittime dell'oppressione di tutto il pianeta non cercano necessariamente vendetta, ma verità.
Certo, si potrà dire che la sua tattica soft non cambiò i rapporti economici pre-apartheid, e che il potere rimase nelle mani dei bianchi, come testimoniano i fatti recenti di Marikana (quando dei minatori che protestavano per uno stipendio dignitoso furono sterminati dalla polizia), ma l'alternativa allora era una ben più sanguinosa guerra civile.
Rappresenta un'apparente, evidente esagerazione anche il fatto che la sua fu la vittoria più limpida di un movimento di sinistra, e che nessuno si è dovuto poi vergognare del suo operato anche dopo aver conquistato un enorme potere. Ma anche questo corrisponde alla più assoluta verità.
Ci siamo vergognati di aver sostenuto Mikhail Gorbaciov, Fidel Castro, Ugo Chavez, Mao Tse-Tung, Lula Da Silva, Evo Morales, Barack Obama, ma non abbiamo mai dovuto vergognarci per il sostegno a Madiba. Anzi, le sue azioni dopo aver ottenuto il potere sono state stupefacenti in senso positivo.
Quelle sentite in questi giorni sono esagerazioni solo apparenti: il fatto è che è la figura stessa di Mandela a essere esagerata, uno tra i pochi veri giganti (e non solo in senso fisico) che abbiamo avuto la fortuna di vedere all'opera.
(Questo post è dedicato a Francesco Vartolo)