I sindaci e i politici che hanno governato la Lessinia negli ultimi 30 anni sono i veri responsabili del degrado ambientale, sociale ed economico della Lessinia.

Ora questi stessi politici tentano di addossare la colpa di tutti i loro problemi alle limitazioni imposte dal Parco, che in realtà sono servite a salvare il poco di buono che c'è ancora in Lessinia. Tutti gli esperti concordano sulla necessità di alzare il livello qualitativo dei sistemi di allevamento, delle produzioni casearie, dell'offerta turistica, della promozione, della comunicazione, dell'interazione fra le diverse realtà sociali ed economiche presenti sul territorio, ma questa classe politica è sorda ad ogni sollecitazione.

IERI
la 2° Commissione del Consiglio Regionale Veneto ha approvato la proposta di Legge n. 451 che prevede la riduzione del Parco della Lessinia di 2000 ettari (20% su 10.000 ha totali). Prima c'è stata un'audizione in cui sono state sentite alcune associazioni ambientaliste (CAI, WWF, Legambiente, Italia Nostra, Carpino, VR BW, Lessinia Europa, ed altri), che hanno tentato di spiegare le motivazioni della loro opposizione alla decurtazione dell'area del Parco. In realtà è stato un po' come tentare di spiegare ad un plotone di nazisti che è sbagliato sterminare gli ebrei. Tutto il fronte politico della destra veneta, dai sindaci ai consiglieri regionali, con il contributo militante delle associazioni di cacciatori, allevatori e coltivatori, hanno ripetuto la stessa canzoncina mandata a memoria: "La gente della Lessinia non vuole il Parco, i sindaci rappresentano questa gente, le attività economiche vengono pesantemente limitate dal Parco, bisogna eliminare i cinghiali e i lupi, la caccia è un diritto inalienabile, non accettiamo imposizioni da parte di chi vive fuori dal Parco".

E' risultato chiaro a tutti che il vero problema non è il Parco. Il vero problema sono le elezioni regionali di maggio e la proposta di legge (pdl) che propone la modifica del Parco della Lessinia è il cavallo di battaglia di questa campagna elettorale. Lega e alleati della Lega propongono agli abitanti della Lessinia questo voto di scambio:
"Votate per noi e noi vi permetteremo di fare (quasi) tutto quello che volete: Potrete finalmente costruire, demolire, tirare su stalle e serre di nylon dove vi pare, rilanciare il villaggio turistico di San Giorgio, investire su nuovi impianti per sport invernali, condurre come vi pare i vostri allevamenti, cacciare liberamente gli animali selvatici. Noi da parte nostra vi promettiamo che costruiremo (con i fondi ODI) nuove strade, approveremo le vostre richieste edilizie, proporremo nuove lottizzazioni (da notare che quasi tutti i sindaci della Lessinia sono geometri), vi proteggeremo dalle pretese assurde degli ambientalisti.
In 3 parole: PARONI A CASA NOSTRA".

La triste realtà è che il Parco della Lessinia, decurtato dei vai e altre zone decisamente interessanti dal punto di vista naturalistico (vedi malghe Tinazzo e Zamberlini, Spluga della Preta e altre "zone contigue"), ha poco senso di esistere. Restano gli alti pascoli, che hanno un indice di biodiversità bassissimo e per di più sono in condizioni di evidente degrado, come spiegheremo in seguito. Se oltre a questo aggiungiamo il fatto che i proprietari dei terreni, gli allevatori e i cacciatori hanno sempre considerato il Parco una limitazione insopportabile, il futuro del Parco appare alquanto incerto.

L'ALTRO IERI
presso l'Accademia di Agricoltura, Scienze e Lettere di Verona si è tenuto il convegno Alti Pascoli della Lessinia: un paesaggio storico da riconoscere. Presentazione dei risultati dello studio multidisciplinare realizzato nell'ambito dell'iscrizione di questo territorio al Registro nazionale dei paesaggi storici rurali e delle pratiche tradizionali.

Sorvoliamo sulle motivazioni dell'iniziativa e sugli stakeholder del convegno, stranamente tutti schierati da sempre contro il Parco, per concentrarci sulle relazioni presentate, alcune delle quali decisamente interessanti. Come al solito, quando si parla di Lessinia, alcuni relatori si sono accontentati di fare della bieca propaganda (Menegazzi- Scungio), ma almeno 3 relatori hanno presentato studi, dati e osservazioni di sicuro interesse per la comprensione dello stato dell'arte sugli alti pascoli della Lessinia.

Il dottore forestale Davide Pasut ha presentato i risultati dell'analisi del patrimonio alpicolturale, in particolare sulla vegetazione pascolativa e sistemi di gestione del territorio montano.

Pasut è partito dicendo che il pascolo a queste quote rappresenta una condizione innaturale, perchè qua ci dovrebbe essere, e infatti c'era, il bosco. Per questo motivo ha definito il pascolo una formazione secondaria. Ha anche spiegato che la presenza dei bovini è indirettamente proporzionale alla presenza di biodiversità, in altre parole: quante più vacche sono presenti sul pascolo tante meno specie vegetali possono sopravvivere. A peggiorare ulteriormente la situazione c'è il fatto che in Lessinia i bovini - per il 90% si tratta di mucche da latte con preponderanza di razza Frisona, inadatta al pascolo - vengono nutriti con un'alimentazione mista: erba e mangime. Questo tipo di alimentazione provoca una serie di squilibri: aumento delle deiezioni, aumento dei nutrienti, espansione delle specie nitrofile, ecc. Anche l'abitudine di lasciare la mandria ferma su un'area limitata per lungo tempo produce un deterioramento veloce del pascolo, con l'espansione di specie infestanti, talora anche tossiche.

In conclusine Pasut ha evidenziato la scarsa resilienza dell'allevamento in Lessinia ed ha proposto alcuni rimerdi: una maggior diversificazione delle razze, una maggior attenzione allla conservazione del paesaggio, una maggior integrazione delle attività economiche, una gestione dei pascoli più attenta e lungimirante.

Geremia Gios, professore di Economia Agraria all'Università di Trento, si è concentrato sugli aspetti socio-economici. Ha messo subito il dito sulla piaga: il basso prezzo che gli allevatori riescono ad spuntare per il latte, solo € 0,40 contro prezzi doppi o anche tripli ottenuti in Trentino. Si preferisce puntare sulla quantità invece di di puntare sulla qualità. Ci si accontenta del minimo vitale, ci si lamenta, ma non si mette in atto nessuna di quelle azioni che potrebbero portare ad una maggiore remunerazione: diversificazione dell'offerta, miglioramento dei prodotti, certificazione biologica, lavorazione in loco dei prodotti, integrazione di allevamento-produzione casearia-turismo.

Infine il veterinario dott. Marcello Volanti ha descritto i dati ricavati dalle interviste fatte a tutti gli operatori dell'allevamento presenti in Lessinia. Nel complesso se ne ricava un quadro disarmante in cui l'immobilità e il pregiudizio la fanno da padroni. Scarsissima disponibilità a sperimentare nuove tecniche, a collaborare ad iniziative comuni, a modificare abitudini inveterate, ad applicare delle tecniche di gestione del pascoli di tipo conservativo, ad accogliere il nuovo e l'estraneo, a sfruttare il valore aggiunto dato dalla presenza del Parco.

In un contesto socio-economico di questo genere sicuramente possono prosperare personaggi come Valdegamberi e soci. Speriamo che il vantaggio ottenuto localmente con lo smantellamento del Parco si trasformi in uno svantaggio complessivo di consenso a livello regionale. Faremo di tutto perchè questo accada.

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