La Germania, motore economico dell’Europa, è in una delle crisi più profonde degli ultimi decenni. Dopo le elezioni, ora è stallo, con un’economia che fatica a ripartire e un dibattito politico sempre più polarizzato. Recessione per il secondo anno consecutivo, un dato che non si registrava dai primi anni Duemila.

Per comprendere le radici della crisi attuale, è necessario guardare al passato. Durante i 16 anni di Angela Merkel alla guida del paese, la Germania ha goduto di una crescita solida, basata su una politica economica pragmatica e su scelte commerciali indipendenti. Merkel, non certo una pasionaria di sinistra, né tantomeno un'attivista ecologista, è stata comunque una delle figure più efficaci e oneste della politica internazionale. Spesso criticata per il suo approccio cauto, ha saputo mantenere un equilibrio tra gli interessi nazionali e le relazioni internazionali. La Germania ha scelto i suoi partner commerciali in base alle esigenze economiche, senza farsi condizionare dalle pressioni esterne. Questo ha permesso al paese di prosperare, diventando il principale esportatore europeo e un punto di riferimento globale per l’industria manifatturiera.

Uno degli esempi più emblematici di questa politica è stato il rapporto con la Russia. Nonostante le tensioni geopolitiche, Berlino ha mantenuto una stretta collaborazione energetica con Mosca, garantendosi forniture di gas a basso costo che hanno alimentato l’industria tedesca. Questo approccio, spesso criticato dai partner occidentali, ha permesso alla Germania di mantenere una forte competitività sui mercati internazionali.

Con l’arrivo di Olaf Scholz alla cancelleria e l’adesione sempre più marcata ai diktat della propaganda USA, la situazione è cambiata radicalmente. La Germania ha abbandonato la sua tradizionale autonomia strategica, allineandosi alle politiche atlantiche che hanno portato a sanzioni contro la Russia e a un drastico ridimensionamento delle relazioni commerciali con Mosca. Questa svolta, presentata come necessaria per sostenere l’ordine internazionale, ha avuto conseguenze disastrose per l’economia tedesca.

La dipendenza energetica dalla Russia, un tempo considerata un vantaggio, si è trasformata in un punto debole. Con l’interruzione delle forniture di gas russo, i costi dell’energia sono schizzati alle stelle, mettendo in difficoltà le imprese tedesche, in particolare quelle energivore come quelle del settore manifatturiero e chimico. La debolezza di Scholz nel gestire questa transizione ha ulteriormente aggravato la situazione, lasciando il paese senza una strategia chiara per diversificare le fonti energetiche.

Il settore manifatturiero, da sempre il pilastro dell’economia tedesca, è in forte difficoltà. Il valore aggiunto lordo è diminuito del 3% su base annua, con un crollo ancora più significativo (-3,8%) nel settore edile, colpito dai tassi di interesse elevati e dai costi delle materie prime alle stelle. L’industria automobilistica, simbolo del successo tedesco, è particolarmente in crisi. A dicembre, la produzione è crollata del 10% rispetto al mese precedente. Marchi come Volkswagen, BMW e Mercedes faticano a competere con i produttori cinesi, che stanno dominando il mercato dell’auto elettrica con modelli più economici e tecnologicamente avanzati.

La Germania, invece, sembra intrappolata tra normative ambientali stringenti e un mercato interno debole. Il rischio concreto è quello di tagli agli investimenti, riduzione del personale e chiusura di stabilimenti, con conseguenze drammatiche per l’occupazione e l’economia locale.

Le esportazioni, che per decenni hanno trainato l’economia tedesca, stanno mostrando segnali preoccupanti. Nel 2024, sono diminuite dell’1,3%, fermandosi a 1.555 miliardi di euro. Nonostante un lieve rimbalzo a dicembre (+2,9%), i numeri sono lontani dai livelli che hanno reso la Germania un gigante commerciale globale. Macchinari, automobili e prodotti chimici, i pilastri dell’export tedesco, non riescono più a competere come un tempo.

Le ragioni del declino tedesco sono molteplici e interconnesse. Il costo dell’energia rimane elevato, nonostante gli sforzi per diversificare le fonti dopo la crisi del gas russo. La Banca Centrale Europea (BCE) mantiene i tassi di interesse alti, rendendo più difficile l’accesso al credito per le imprese e i consumatori. Gli investimenti fissi lordi sono diminuiti del 2,8%, mentre i consumi privati crescono a un ritmo troppo lento (+0,3%) per sostenere la ripresa.

La competitività tedesca è in calo, e il governo sembra incapace di definire una strategia chiara per rilanciare l’economia. La dipendenza energetica dalla Russia, un tempo considerata un vantaggio, si è rivelata un errore strategico colossale. Ora, Berlino sta cercando di diversificare le forniture e di puntare sul gas naturale liquefatto (GNL), ma la transizione sarà lunga e costosa.

Le previsioni per il 2025 non sono rosee: si stima una crescita del PIL attorno allo 0,4%, ben al di sotto dei livelli pre-pandemia. In questo contesto, le elezioni si giocheranno sul terreno economico. La CDU-CSU propone una coalizione con i socialdemocratici. Questo porterà i Verdi, fino a ieri marchio di fabbrica della politica tedesca, saranno dopo anni fuori dal governo, il che renderà difficile puntare sulla transizione ecologica.

Adesso i tedeschi sono di fronte a un bivio. Dopo anni di crescita trainata dalle esportazioni e da un’industria manifatturiera forte, il paese deve fare i conti con un mondo che cambia: guerre commerciali, transizione energetica e competizione globale sempre più agguerrita. La politica tedesca, divisa e incerta, sembra incapace di trovare una soluzione condivisa. Intanto, la locomotiva d’Europa resta ferma, in attesa di una scintilla che possa rimetterla in moto. Ma, per ora, quella scintilla non si vede.

 

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