Il diritto inviolabile alla libera espressione di ogni uomo è al centro della Costituzione come della mostra Mediterraneo, a Genova, Palazzo Ducale, aperta fino al 1 maggio.

 

Il 1 marzo 1988 Oscar Luigi Scalfaro, allora semplice deputato, tenne ad Osimo una mirabile lezione sulla Carta costituzionale italiana, non solo dal punto di vista giuridico e politico, ma anche umano. Una persona a me cara mi ha fatto leggere la registrazione di quella conferenza inedita, che mantiene ancora oggi tutto il suo valore e la sua stringente attualità.

Una fra tutte la narrazione di quando nel 1946 applaudirono l'articolo 2 che, scrive Scalfaro, "per me, per la mia vita, per il mio gusto è il cuore della Costituzione":

"La Repubblica riconosce e garantisce i diritti inviolabili dell'uomo"

E' il termine "riconosce" che lo emoziona e ci emoziona per la sua potenza incredibile. Lo Stato, infatti, non è un germinatore di diritti, un padre che dona, elargisce o toglie e riduce.

Ma l'uomo è prima dello Stato. L'uomo è colui che mette al mondo lo Stato. E lo Stato, la Repubblica, nel momento in cui nasce dall'Uomo, come primo gesto, si inchina ai diritti inviolabili dell'uomo stesso che ci sono prima che lo Stato sia.

Riconoscere diventa allora un verbo che fissa la realtà, una parola viva.  

L'articolo 2 mi ha fatto compagnia anche giorni fa quando a Genova a Palazzo Ducale ho visto la mostra Mediterraneo. Da Courbet a Monet a Matisse aperta fino al 1 maggio. Un'esposizione presentata come una passeggiata attraverso il sud della Francia, dalla Provenza alla Costa Azzurra fino a Bordighera con gli occhi dei più o meno grandi impressionisti e post-impressionisti. Subito devo dire che così non è. Non è proprio una passeggiata al sole.

Le tele di Renoir, Monet, Cézanne, Matisse, Braque sono le migliori, quelle dalla fine degli anni ottanta quando il sapore retinico non accontenta più la ricerca pittorica e umana di questi grandi artisti. Monet si culla tra i rosa e gli azzurri e realizza Veduta di Bordighera (1884) e il Forte di Antibes (1888). E toglie il fiato. Matisse fa di Nizza la sua finestra sul mondo. Van Gogh divora il giorno e la notte come i suoi tubetti di colore.

Ma è  nella  terza sala che ritrovo la Costituzione.  

Il tema del paesaggio nelle "Rocce a L'Estaque" mette insieme, vicini vicini Renoir e Cézanne. E' il 1882. Una giornata di febbraio.  I due lavorano fianco a fianco. La pelle e la sua essenza direbbero i critici. Ma lì nel Midi della Francia, Renoir e Cézanne si riconoscono. Dopo un percorso a piedi, a parlare di pittura con la cassetta dei colori,  piantano il cavalletto, ognuno ha di fronte le rocce oltre le quali c'è il mare e il porto di Marsiglia. Cambia il gesto pittorico, ma il sentire è identico, la condivisione si respira. La libertà interiore delle coscienze è illimitata. Il luogo dell'anima è dichiarato e accettato come esistente da entrambi. Pulsano di vita. Di una comune visione della vita. Ricerca, rigore, forse ossessioni o impegno costante, ma grande capacità di sentire e di sentirsi. Lì tra le rocce la pittura diventa mezzo di conoscenza e  il colore, la forma e la linea garantiscono ai due grandi Maestri di riconoscersi e di dichiarare soprattutto il  proprio diritto inviolabile di espressione.

La mostra termina con una saletta detta del congedo dove Monet, Cézanne e Van Gogh danno il meglio di sé. Ma manca Renoir. Di corsa ritorno dalla forte presenza di Cézanne, che sempre mi conquista e mi appartiene, ma questa volta l'ultimo mio personale  congedo è per Renoir. Un artista o meglio, sull'onda della Costituzione,  un cittadino che secondo le proprie possibilità e la propria scelta  ha svolto una funzione importante ed essenziale, concorrendo al progresso spirituale della società.

 

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