Leggevo con grande interesse i pezzi di Tabucchi sul Corriere della sera e mi entusismava la sua battaglia per la libertà di informazione fin dai tempi di Sostiene Pereira (1994), anch'esso trasformato in un bel film da Faenza con Mastroianni nella parte del protagonista.
Quando Antonio Tabucchi si è spento a Lisbona, il 25 marzo di quest'anno, eravamo in piena campagna elettorale e non ho trovato il tempo di accomiatarmi da lui come si dovrebbe fare con tutte le persone che ci sono care.
Probabilmente Tabucchi è il più importante scrittore italiano del dopoguerra, un letterato con una cultura immensa, una delle voci più rappresentative della cultura europea, grande studioso e raffinato traduttore dell'opera di Fernando Pessoa.
Il poeta è un fingitore, una eccellente traduzione di poesie di Pessoa, inizia con questi due frammenti:
- Il poeta è un fingitore.
Finge così completamente
che arriva a fingere che è dolore
il dolore che sente davvero. - Essere poeta non è una mia ambizione.
E' la mia maniera di stare solo.
Un paio di libri di Antonio Tabucchi andrebbero certamente letti:
Requiem, un libro scritto dall'autore in portoghese e tradotto in italiano da Sergio Vecchio. Una storia tutta portoghese, fatta di caldo, di allucinazioni e di ricette. Un turbine quieto che ci trascina molto lontano dai nostri luoghi comuni.
Si sta facendo sempre più tardi, una raccolta di lettere che ci spediscono ai quattro angoli del mondo e del tempo. La lettera intitolata Il Fiume ci rimanda al Rio delle Amazzoni, al mondo immaginato da Guimarães Rosa, dove "la letteratura non è un treno che scorre in superfice, ma è un fiume carsico che sbuca dove meglio gli pare".
Il gioco del rovescio si conclude con un racconto ambientato nell'antica Grecia, dove si immagina che un giovane Pindaro partecipi alle olimpiadi e, mentre si prepara alla gara di corsa, componga questi versi:
"C'è una misura in tutto
e l'attimo giusto è il più adatto a coglierla".
E' una vergona per tutti gli italiani che un uomo di tanto valore sia stato praticamente ignorato negli ultimi anni della sua vita dal mondo accademico ufficiale, probabilmente per la sua ferma e coraggiosa opposizione al regime berlusconiano, che si era intanto impadronito di quasi tutte le case editrici e dei mezzi di comunicazione di massa.
Nel 2004 pubblica Tristano muore, lungo monologo di un ex partigiano in agonia: raccontando la propria vita ad uno scrittore da lui appositamente convocato, Tristano (il nome è un omaggio al personaggio leopardiano delle Operette morali) rievoca contraddizioni e lacerazioni di fronte alla guerra, alla politica, alla vita.