Dal carcere: esperienza di una giuria speciale al Premio Letterario "Emilio Salgari" 2010
Questa mattina la Giuria di 30 lettori detenuti presso la Casa Circondariale di Montorio, a Verona, ha festeggiato in anteprima la premiazione della terza edizione del Concorso Letterario Premio "E. Salgari". Mino Milani, Alfredo Colitto e Pino Cacucci durante l'estate hanno incontrato "L'Altra Platea" e, presentando i loro libri, hanno dialogato con loro. È stata una inedita occasione di partecipazione delle persone detenute ad un evento normalmente destinato ad un pubblico esterno. Più spesso sono testi scritti da detenuti ad essere valutati e scelti in vari concorsi nazionali e locali. L'esperienza di essere parte di una giuria e di esprimere una preferenza a testi letterari è stata coinvolgente e sorprendente per questi lettori che per la prima volta sono stati dall'altra parte del tavolo.L'evento, promosso dalla dott.ssa Forestan, neoeletta dal Comune Garante dei diritti delle persone detenute, è stato realizzato da MicroCosmo con il Consorzio Pro Loco Valpolicella. Il Direttore e il Comandante hanno accolto gli ospiti e festeggiato assieme ai componenti della Giuria, agli organizzatori e ai rappresentanti istituzionali del territorio, con un buffet a base di prodotti tipici della Valpolicella offerti dal Consorzio stesso. Agli scrittori verrà consegnato fresco di stampa un nuovo numero di MicroCosmo, pubblicazione dal carcere di Verona, che riporta uno Speciale con la trascrizione dei dialoghi con i lettori e testimonianze dei detenuti e degli stessi scrittori. La Giuria di Montorio ha deciso di assegnare una Menzione Speciale ad uno degli scrittori che verrà letta da un detenuto in permesso premio nell'occasione della premiazione ufficiale alla Galleria Vason Caprini. Come dice Maurizio della Giuria: "Il carcere, per quanti muri e stereotipi possa costruire, finisce sempre, se vogliamo che accada, per unire anziché separare le persone. Lo sforzo condiviso stabilisce un forte legame che va oltre i giudizi e i pregiudizi. Perché il carcere sia esperienza di vita, un luogo che non genera solo dolore ma fornisca anche la cura.