Greta è eterodiretta, giudicante e saccente. Ma se anche questo movimento di giovani fallisce, non abbiamo più alternative.
Prospettive e limiti dei Fridays for Future, alla luce della storia dei movimenti giovanili del secolo scorso.
È stata una delle più grandi proteste ambientali mai viste: oltre un milione di giovani hanno scioperato venerdì 15 marzo 2019, chiedendo un'azione più ambiziosa sul cambiamento climatico. La protesta è stata, per la prima volta, mondiale. Ispirata a Greta Thunberg, una ragazza svedese che ha manifestato fuori dal parlamento svedese ogni venerdì del 2018, i giovani di oltre 100 paesi hanno lasciato le loro aule e sono scesi in strada.
Le loro marce, canti e slogan hanno attirato l'attenzione e hanno stimolato dibattiti sulle motivazioni e sui metodi dei giovani dimostranti. Molti sono stati criticati dai parrucconi e dai media governativi per aver semplicemente perso un giorno di scuola.
I giovani hanno espresso preoccupazione per le vittime del clima, anche appartenenti alla fauna selvatica, per il proprio futuro e per un'azione politica da parte degli adulti non sufficientemente efficace né ambiziosa. I giovani hanno bisogno di sentirsi come se stessero "facendo qualcosa" sul cambiamento climatico mentre i politici e gli scienziati rilasciano proiezioni sempre più allarmanti delle condizioni climatiche future.
Come per le azioni politiche degli anni passati, gli scioperi hanno aiutato i giovani attivisti a trovare coetanei affini e nuove opportunità di coinvolgimento. Essi articolano una voce giovanile collettiva, esercitando il potere morale dei giovani, gruppo sociale troppo spesso ignorato e sottovalutato.
Ma il movimento ha alcune vulnerabilità, che potrebbero creare la sua fine. La prima vulnerabilità è la figura di Greta Thumberg, che ai più, come al sottoscritto, appare come un personaggio costruito. Molti di noi sono rimasti perplessi di fronte alle dichiarazioni pubbliche della ragazza, la cui saggezza e profondità non apparivano congrue con i suoi quindici (oggi sedici) anni.
Niente di male: siamo in guerra, e una piccola menzogna ci può stare. Il problema è che una figura del genere (giovane, giudicante e un po' saccente) è destinata a polarizzare. Provate a digitare la parola Greta sul motore di ricerca interno del quotidiano Libero o del Giornale. Francamente non credo che una ragazzina sia in grado di gestire tutta questa pressione, da parte di autentici caimani.
Un altro problema è l'effetto emulazione, che porta molti genitori arrivisti e giornalisti fresconi a replicare lo schema Greta con i propri figli, spronati a recitare in pubblico discorsi preparati dai genitori, come la Greta del Monferrato, o la Greta della Cumbria.
La seconda vulnerabilità è figlia della prima: i ragazzi sono molto giovani, e questo in sé è un bene, ma gli sciacalli che li circondano sono assai smaliziati, e il rischio strumentalizzazione è assai concreto. Lo dimostrano le beghe per la gestione delle pagine facebook (altro elemento di straordinaria debolezza: affidare l'intera comunicazione di un movimento, a un miliardario americano di simpatie repubblicane!) segnalate dal nostro Attilio.
La terza vulnerabilità è tipica dei movimenti giovanili. Crescere è inevitabile, e man mano che i giovani acquisiscono esperienza nell'azione politica e ampliano le loro reti, "crescono", aumentando la capacità di rappresentare i giovani, ottenendo spesso posti di lavoro che permettono loro di difendere meglio le proprie cause. Questo può essere un fatto positivo per gli individui, ma comporta la perdita di incisività nell'azione. Movimenti giovanili ben più corazzati di questo, come gli hippy degli anni '60/70 o i sessantottini europei, hanno fallito proprio per questo, quando gradualmente i loro migliori esponenti sono stati assorbiti dalla classe dirigente.
Il problema per noi adulti è che, pur con tutti questi limiti, il movimento che si ispira a Greta è l'ultimo treno per evitare i disastri climatici, la nostra unica speranza. Cosa possiamo fare perché non imploda? Iniziamo col riconoscerli come un gruppo importante nei dibattiti sui cambiamenti climatici, una parte autorevole con cui confrontarsi. Questo darà loro maggiori opportunità di continuare a sostenere il movimento.
Smettiamo di parlare di Greta, scarichiamola dalle responsabilità che non può assumersi. Lasciamo perdere le ridicole candidature al Nobel per la pace (ridicole non per il Nobel, ma per Greta, che non merita di essere accostata a un bombarolo come Obama). Consideriamo il movimento dei giovani come un movimento collettivo, che in quanto tale non ha bisogno di leader.
Facciamoli incontrare con altri gruppi, testimoni di diversi tipi di ingiustizie climatiche: le comunità residenti nei luoghi in cui l'innalzamento del livello del mare sta inondando le case, o dove la siccità sta uccidendo il bestiame e causando la fame. Lasciamo che si relazionino con i loro pari età di quelle aree, rendendosi portavoci di queste istanze, in modo che la loro protesta non sia generica e sui principi, ma su fatti concreti.
Il cambiamento climatico aggrava la disuguaglianza sociale ed economica, ma spesso trascura il modo in cui queste disuguaglianze si intersecano con gli svantaggi basati sull'età. Dimentichiamo spesso che le ingiustizie colpiscono soprattutto i giovani, come i flussi di migranti stanno dimostrando, per cui è ora di mettere in discussione l'ingiustizia intergenerazionale.
Se i vari movimenti per la giustizia climatica riconoscessero i giovani come gruppo vulnerabile e condividessero le loro istanze, si rafforzerebbe notevolmente l'intero movimento climatico.
Ricordiamo che i nostri avversari, i negazionisti, sono tanti e ben pagati. In più, non hanno "limiti di tempo" in quanto possono rappresentare la loro causa a lungo, non essendo legati alla condizione di giovani.