L'artista indiano contemporaneo Anish Kapoor espone a Milano in due sedi: la Fabbrica del Vapore e La Rotonda di via Besana.
Mi soffermo sulla Rotonda.
Arrivarci con il tram n. 9 (fermata piazza Cinque giornate), anche d'estate, è uno spasso. Eleganti palazzi con hortus conclusus agli ultimi piani e un sorprendente e consolatorio verde lungo i viali conducono al ritmo lento e ovattato del tram alla meta.
All'improvviso, una possente costruzione circolare in mattoni rossi con vetri e sbarre protegge la ex-chiesa a croce greca di S. Michele e lì, dentro quel tempio, incontri senza rendertene conto la tua immagine che dialoga con le opere di questo artista di Bombay. Oggetti o meglio non objects, la cui esistenza è legata essenzialmente al contesto in cui prendono vita. Riflettenti, di grandi dimensioni, ti catturano. Un senso di malessere, di perdita dell' equilibrio, ma da subito il gioco è fatto.
L'opera ti possiede e muta anch'essa la sua essenza.
Metallo lucido concavo o convesso, integro o frantumato come pezzettini di uno specchio infranto.
Mai come in questa mostra ti dà fastidio la scritta perentoria NON FOTOGRAFARE e NON TOCCARE. Hai invece voglia di catturare quella malia di strutture, di specchi, di sculture curve perché fin da subito ne fai parte e dopo un po' ci stai anche bene. Vorresti toccare la cera fusa a strati intrecciati, quantità a tonnellate, spalmate intorno alla sacralità di un cerchio il cui diametro è mosso da un demiurgo metallico. Non si può ma alcune macchie sul bordo delle didascalie testimoniano che qualcuno ha infranto la regola.
Sei nel tuo spazio vitale ma sai anche che stai camminando in un'altra dimensione. Non è solo un gioco percettivo, è prova che la condivisione tra materia affrancata dal suo artista e lo spettatore esiste. A Kapoor non interessa l'immersione nell'opera d'arte, è più interessato allo spazio di fronte l'oggetto. My Red Homeland sa aspettare in silenzio la tua persona. Ma quando arrivi e attraversi la percezione di questo buco nero, anzi rosso, sei in balia di una nuova realtà spaesante, a tratti paurosa e inquietante, a tratti divertente, ma sempre sicura e protettiva perché fatta di madre/materia. Una materia libera anche di non essere soltanto materia. Espressione del vuoto cioè del momento in cui uno spazio è pieno di ciò che non c'è: la parte immateriale del materiale.
Anish Kappor, artista britannico nato in India, è uno dei più grandi creatori contemporanei.
Scultore e architetto ripugna le categorizzazioni. Infaticabile pioniere di spazi sconosciuti, ha creato Sky Mirror (2001), un gigantesco specchio concavo riflettente il cielo e la vita della piazza sulla spianata del Rockefeller Center di New York, e Cloud Gate (Chicago, 2003), immensa opera in acciaio, che assorbe l'altezza degli edifici attraverso la sua orizzontalità, sfuggendo all'urbanità di una città totalmente verticale.
La fabbrica del vapore: 31 maggio – 8 gennaio 2012
Rotonda di via Besana: 31 maggio – 9 ottobre 2011
Lunedì 14.30 – 19.30
Martedì e Mercoledì 9.30-19.30
da Giovedì a Domenica 9.30-22.30