La mia scelta è caduta su "Storia della mia gente" di Edoardo Nesi, vincitore del Premio Strega 2011.
Mi sembrava interessante per il tema trattato: la fine della piccola industria italiana, vittima dell'avanzata del mercato globale.
Fin dalle prime pagine ho provato delusione per la mancanza di forza della narrazione.
La "gente" del titolo non c'è nel libro, a meno che per gente non si intenda quel gruppo limitato di industriali viziati dal mercato chiuso del dopoguerra, una percentuale di popolazione veramente troppo esigua per essere definita "gente".
Ciò che il libro svela a proposito dell'attuale situazione economica italiana è più o meno ciò che si potrebbe apprendere dalla visione di una puntata di "Report" sui Cinesi che lavorano a Prato, con la differenza che "Report" in genere è più coinvolgente e profondo.
Nel libro c'è una bella sviolinata sul senso civico delle nostre istituzioni che fanno opera di civilizzazione nei confronti di questi disperati che lavorano in condizioni di igiene e sicurezza scarse; peccato che gli interventi di quelle stesse istituzioni siano mancati quando i nostri industriali e proprietari agricoli hanno cominciato a sfruttare i clandestini extra-comunitari impiegandoli in lavori sottopagati e pericolosi. Allora non davano fastidio gli immigrati. Penso alla mia regione, il Veneto e in particolare alla zona di Chiampo, dove molti immigrati africani sono stati accolti a braccia aperte nelle concerie in cui gli italiani non volevano più lavorare. Penso sempre alla mia regione, alle campagne venete dove la manovalanza è tuttora costituita da clandestini di cui non si preoccupa nessuna forma ufficiale di controllo. Forse gli stranieri danno fastidio solo quando rompono le scatole ai padroni.
E' curioso come non ci sia accorti, in sede di pubblicazione del libro, che ciò che sta scritto nel retro di copertina e che dovrebbe essere riferito agli italiani di Prato potrebbe descrivere ottimamente il pensiero dei Cinesi che a Prato vivono e lavorano: "Il rumore di una tessitura ti fa socchiudere gli occhi e sorridere, come quando si corre mentre nevica. Il rumore della tessitura non si ferma mai, ed è il canto più antico della nostra città, e ai bambini pratesi" (forse anche cinesi?) "fa da ninnananna. Questa è la mia gente. La mia gente che in tutta la vita non ha fatto altro che lavorare." Ma allora dove sta il problema? Se la caratteristica del popolo pratese è quella di lavorare instancabilmente, i Cinesi sono "pratesi ad honorem"!
Sul piano della cultura, l'autore da un lato sogna un mondo fondato su di essa ma dall'altro lato nobilita e rimpiange un passato di benessere creato da imprenditori ignoranti. Se ne deduce che la crisi della cultura non sia imputabile al particolare periodo economico, quanto semmai allo scarso investimento di capitali in tale ambito e in particolare nella ricerca. La sanità e la scuola pubbliche si stanno disintegrando sotto gli occhi passivi della nazione perché nessuna forza politica o economica ha ritenuto che valesse la pena di investire in esse, neanche gli industriali di Prato.
Come è onestamente ammesso nel libro, questi industriali si sono guardati in cagnesco ed hanno perseguito con ostinazione solo il bene individuale finché c'era una vacca da mungere ed ora si sorridono timidamente come fratelli di sventura sotto gli striscioni di protesta molto ben confezionati dai loro affezionati ex- dipendenti. Svolta commovente, ma poco significativa per i più.
Oltre all'opinabilità delle idee economiche e sociali dell'autore, il libro soffre anche di mancanza di forza della narrazione, come dicevo all'inizio. Chissà, magari se nel libro, al posto di un astratto Fabio disoccupato ci fosse stata una storia fatta di angoscia vera per la perdita di certezze, forse il libro sarebbe stato più credibile. Gli operai che Nesi ci mostra sono così stereotipati da infastidire il lettore, sono figurine di sfondo senza profondità.
Mi è stato difficile, infine, identificarmi con il narratore, rampollo di una fiorente ditta fino al declino della stessa, ma poi comunque vincente nella sua nuova attività creativa, soprattutto per certe disquisizioni nostalgiche e personali che poco o niente hanno a che fare con tutto il resto. Tristemente memorabile, ad esempio, l'elogio del Martini e la descrizione delle suggestioni vitali che possono derivare dall'assaporare la bevanda alcolica in un locale famoso per la vita mondana: caro Nesi, o c'è crisi e del Martini non si parla, oppure non c'è ed è inutile costruirci un libro.