La lotta quasi solitaria di chi non usa l'aria condizionata. Nella ricca Verona, lo scontro ormai è impari.
I giorni di caldo intenso, caldòn come lo chiamiamo da queste parti, coincidono purtroppo con la riduzione delle mie attività lavorative.Non tanto perché il caldo ostacoli naturalmente le operazioni fisiologiche legate al ritmo di lavoro, quanto perché una serie di ambienti, stanze, uffici, negozi, luoghi pubblici in genere, sono preclusi a quelli che come me rinunciano al condizionamento (e non solo), per salute o scelta politica che sia.
Non è possibile percorrere chilometri in bici sotto il sole, con quaranta gradi sul sellino, sudando come una doccia, e poi entrare in un ufficio condizionato a palla con venti gradi in meno. Alla mia età, è un rischio serio. Così la mia attività, lavorativa e non, si riduce al minimo, restando a casa o in ufficio, oppure programmando gli spostamenti alla ricerca di luoghi non refrigerati.
Come al solito, è perfettamente inutile guardare con un sorriso sprezzante le auto che ti sorpassano con due motori rombanti. Già, perché in questo periodo le auto hanno in genere il doppio rumore: il primo è il propulsore a combustione interna che fa muovere il pesantissimo tafanario, l'altro è il compressore che richiede il costante uso di un rumoroso ventolone per poter tenere al fresco gli abitacoli metallici di queste assurde gabbie semoventi che cuociono al sole.
Serve a poco anche indossare polemicamente lo spolverino quando si entra in un ufficio con il condizionatore a palla, indice di scarsa cura per la salute propria e sopratutto per quella dei frequentatori del luogo. Quello che si ottiene, di solito, è solo un paio di occhi pallati dallo stupore, e qualche gesto di commiserazione per il matto di turno (tipo toccarsi ripetutamente la tempia con l'indice).
Troppo numerose, tristi, lunghe e inutili sarebbero le spiegazioni loro dovute (il risparmio energetico, l'entropia, l'effetto serra, la crisi del petrolio, la fine del mondo). Tanto loro, the others, non capirebbero.