Non sappiamo quando, ma quale sarà la fine del nostro sistema economico, lo sappiamo tutti, non prendiamoci in giro.
Come ogni anno, prima della ripresa post-agostana, il workshop Ambrosetti a Cernobbio fa il punto economico della situazione nazionale e internazionale.Ma mai come quest'anno le facce (più che i discorsi) dei partecipanti si sono mostrate atterrite: nessuno sa cosa succederà domani, quando la BCE smetterà di sostenere i titoli di stato italiani. Mai come quest'anno si ha la sensazione di essere di fronte a un bivio della Storia.
Su quale sia il futuro dell'attuale sistema economico non c'è alcun dubbio: default, fallimento, Yobel o giubileo, a seconda di come lo si voglia chiamare.
Nessun economista, nemmeno quelli muniti di sfera di cristallo, è in grado di stabilire quando. Certo, il nervosismo di questi giorni porta più di qualcuno a dire che siamo molto vicini. Ma queste crisi sono passeggere, anche se, ultimamente, sempre più ricorrenti.
Il fatto che questa conclusione sia ineluttabile, ne abbiamo già parlato, dipende dal fatto che la spesa per interessi, dopo un certo numero di anni, tende a esplodere, e non c'è reddito che possa in qualche modo arginare questa esplosione.
Non si tratta di uno scenario particolarmente invitante, visto che stiamo parlando di una situazione in cui i grandi debitori, ovvero gli stati nazionali e i grandi clienti delle banche, non saranno in grado di restituire il proprio debito.
L'effetto catena sarà devastante: gli stati non saranno in grado di restituire ai risparmiatori, i grandi debitori alle banche e infine le banche ai propri depositari. Tutto quello che i risparmiatori avranno faticosamente accantonato, non varrà più molto.
Nessuno può dirsi al riparo dal collasso del sistema. Chi si crede virtuoso solo perché non ha comprato titoli di stato greci, o prodotti derivati, dia un'occhiata allo stato patrimoniale della banca dove ha depositato i soldi, o dell'assicurazione con cui ha stipulato una polizza previdenziale (da qualche parte i soldi li avrà pur messi): sono tutti zeppi di titoli di stato greci e di prodotti derivati. È esattamente come se li avessimo acquistati noi!
Le persone appartenenti alle fasce deboli saranno le più colpite, con buona pace di chi aspetta quel momento come una liberazione. In questa situazione anche i comportamenti più difensivi, come tenere i soldi sotto il materasso, avranno poco senso: la sfiducia nel sistema e la forte immissione di liquidità porteranno alla perdita di valore delle principali monete, il fenomeno che gli economisti chiamano iper-inflazione.
Ma si tratta di una conclusione inevitabile, e tutte le manovre che gli economisti stanno imponendo ai politici non serviranno ad altro che a rimandare questo momento fatidico. Il Patto di Stabilità imposto ai paesi dell'UE, prevede infatti una riduzione del deficit, e non del debito pubblico. In parole povere, gli stati sono invitati per il momento non a diminuire il loro debito (cosa evidentemente fuori dalla loro portata), ma ad aumentarlo poco.
Non serve arrabattarsi per cercare i responsabili di questa situazione. Sicuramente le banche che si sono riempite di derivati hanno le loro colpe. Craxi, e i governi populisti in genere, sono in parte responsabili del nostro enorme debito pubblico. Ma la ricerca di capri espiatori ci allontana dalla verità: il sistema predatorio neoliberista non è sostenibile, e richiede un reset ogni cinquantina di anni.
Il debito pubblico italiano è pari al 120% rispetto al PIL, un'enormità. Ma Germania, Francia e Inghilterra viaggiano su valori superiori all'80%, mentre gli Stati Uniti sfiorano il 100%, con un PIL di dimensioni mostruose. E nessuno di questi paesi ha avuto Craxi o Berlusconi al governo.
L'ultimo reset è stata la seconda guerra mondiale: sono passati 66 anni da allora. Prepariamoci, perché il tonfo sarà grosso.
Yobel!