Abbandoniamo la "mistica" ambiental-animal-naturalistica per rivolgerci ad un settore apparentemente lontano, lo sport e il doping. Qualche giorno fa, in attesa del treno per tornare a casa, girovagavo nella Feltrinelli della stazione Centrale di Milano, finché il libro di Sandro Donati non si è impossessato della mia mente e delle mie emozioni. Si, perché mi ha fatto ripercorrere vent'anni della mia vita agonistica. Prima nella velocità e poi nella mountain bike. Sono così ritornati a galleggiare nomi, pratiche ed eventi sepolti nei neuroni: Alberto Cova, i fratelli Selvaggio, naturalmente Conconi e le emotrasfusioni, le olimpiadi di Los Angeles, i mezzofondisti Mei e Barsotti, mio coetaneo, il povero Fulvio Costa.
Ero un velocista di belle speranze: i miei miti la Freccia del Sud Pietro Mennea ed il suo Vate Carlo Vittori; le speranze erano ovviamente riposte in una partecipazione alle Olimpiadi. Ma la spietata scienza della biomeccanica aveva già sentenziato che non sarei arrivato molto distante: un 10"4 sui 100 e 21"4 sui 200, secondo ai Campionati Italiani giovanili del 1983, e poi una discesa costante nel limbo dei mediocri, tra i se e i ma. Il mitico Professo' di Ascoli Piceno, con la verve polemica intatta, mi si è materializzato davanti ad una rimpatriata a Vicenza l'anno scorso: "Non ti conosco, eri fortino, ma ai quei tempi c'erano Mennea, Caravani, Simionato, …". Eh si ! La faccia pulita della medaglia, perché l'altra era quella sporchissima dei "campioni senza valore", come li definisce Donati. Già a quei tempi si sapeva del club dei mezzofondisti di Conconi. Che vincevano medaglie con gli aiuti illeciti del doping. Della Dorio (800) e di Andrei (lancio del peso) a Los Angeles nel 1984. Del salto fasullo di un ignaro Evangelisti a Roma nel 1987. Del record dell'ora di Moser a Città del Messico.
Proprio nell'88 o nell'89 avevo fiancheggiato il movimento antidoping capitanato da Donati; nel 92 scrivevo che avrei messo le mani sul fuoco per un lanciatore mio amico. Qualche tempo dopo sarei diventato Muzio Scevola! Donati ripercorre meticolosamente la storia del doping, che negli anni 90, con l'introduzione dell'epo, diventa vero e proprio doping di stato. Ne sono coinvolti tutti i settori: dal ciclismo con i vari Pantani, Bugno, … al fondo con in testa la Di Centa e compagnia bella (si fa per dire).
Nel frattempo io smetto l'atletica per inerzia; a forza di infortuni le caviglie non mi sorreggono più e vicino alle scarpette chiodate trovo due ruote grasse: comincia l'avventura con la mountain bike. Se in atletica ne avevo viste di cotte e di crude, in bici la realtà supera l'immaginazione: un anno di agonismo con una partecipazione ad una gara a tappe a coppie (la Transalp in Piemonte) in cui subisco distacchi abissali dai primi! Nel maggio del 1999 torno per una vacanza dalla Germania, dove ai tempi facevo il dottorato. L'amico Sandro chiede se voglio andare a vedere una tappa del Giro ed accetto entusiasta, per gustarmi natura, montagne e panorami. Da Bolzano ci arrampichiamo per i sentieri fin al Passo di Lavazé: qui Sandro si accorge che una scorciatoia per Pampeago è bloccata dalla neve. E allora scendiamo di settecento metri fino al Bivio Stava per poi risalire a Pampeago: il poco allenamento fa diventare la salita, costante sopra il 10% e senza tornanti, quasi un calvario, ai 4 km/h, neanche a piedi. Riesco ad arrivare e stravaccarmi su un prato sopra il traguardo e ad assistere, un po' disincantato, al trionfo effimero di Marco Pantani che percorre il salitone, come una moto, ai 25 km/h! Infatti il giorno dopo Pantani verrà bloccato a Madonna di Campiglio con l'eritropoietina alle stelle e da lì inizierà il suo calvario con la discesa negli inferi. Pantani è un'altra delle persone che si intreccia alla vita di Donati, essendo in seguito diventato uno dei paladini, molto contrastati, addirittura pesantemente e professionalmente osteggiati, nella lotta contro il doping. La storia alla fine gli ha dato ragione ed infatti uno degli ultimi capitoli è dedicata alla parabola di Lance Armostrong, l'ex ciclista texano ex vincitore di sette Tour de France di seguito.
Parlavo prima del disincanto a Pampeago: non credevo prima, a certe imprese, e, a maggior ragione, non credo nemmeno adesso: fa tenerezza l'ingenuità, chiamiamola così, di miei ex colleghi/e che mettono come atleta preferito Usain Bolt. Fanno invece meno tenerezza i cantori alla Gianni Mura, che solo a posteriori, ovviamente a loro insaputa, scoprono che i loro eroi così tanto omerici poi non lo erano. Gianni Mura, cantore anche vinicolo, è un utile assist che mi do per legare allo sport la "mistica" ambiental-animal naturalistica! Infatti i vigneti dalle nostre parti sono dopati né più né meno degli atleti citati in precedenza. In forma di fertilizzanti e di migliaia di tonnellate di pesticidi. Più in generale l'economia della crescita è tutta dopata, innanzitutto dal petrolio. Fa poca consolazione sapere che fra trentanni ci daranno ragione, come i fatti stanno dando ragione adesso a Donati. Nel frattempo, come i poveri Pantani e Costa o le decine di atlete dell'ex DDR diventate uomini , il territorio è stato sfigurato ed ucciso, il paesaggio oltraggiato e distrutto.