Il colosso è grande e forte, ma fragile. Proviamo a smascherare il potere dei giganti della web-economy. Conoscere l'avversario prima di imparare la nobile arte del sabotaggio.
Articoli precedenti:
- Uber economy 1
- Uber economy 2: caporali coraggiosi
- Uber economy 3: the winner
- Uber economy 4: invarianza
"Aveva la testa d'oro puro, il petto e le braccia d'argento, il ventre e le cosce di bronzo, le gambe di ferro e i piedi in parte di ferro e in parte d'argilla. [...] una pietra si staccò dal monte, ma senza intervento di mano d'uomo, e andò a battere contro i piedi della statua, che erano di ferro e d'argilla, e li frantumò. Allora si frantumarono anche il ferro, l'argilla, il bronzo, l'argento e l'oro e divennero come la pula sulle aie d'estate; il vento li portò via senza lasciare traccia[...]"
(Daniele II, 32-35)
L'attuale sistema economico nacque con la rivoluzione industriale inglese. Le economie di scala portarono ben presto alla formazione dei primi colossi industriali. Questi si trovarono di fronte subito al problema di come proteggersi dai concorrenti, e dare solidità ai propri imperi economici.
Lasciate libere di azzerare la concorrenza, lavorarono sulla filiera e si impadronirono della fase critica del processo produttivo, l'estrazione delle materie prime, quella che apportava il maggior valore aggiunto, lasciando agli altri le briciole.
Nella prima metà del secolo scorso, dunque, la maggior quota degli investimenti riguardò le miniere, assicurando il controllo e il monopolio sui giacimenti dei principali fattori produttivi: petrolio, metalli, carbone, etc. L'emblema del capitalismo di quegli anni fu John D. Rockefeller. Chi può ricordare quei tempi conferma che il prezzo dei prodotti era dato essenzialmente dal costo delle materie prime ("È un po' caro." "Sì, ma è fatto con legno di prima qualità").
La seconda metà del secolo scorso vide l'emergenza graduale di altri colossi che rappresentavano altre fasi produttive. Simboli di questo periodo furono Rupert Murdoch e Silvio Berlusconi. In quel momento, la vendita era il processo strategico della filiera, quello che garantiva il massimo valore aggiunto. Il prodotto rimaneva tendenzialmente banale, ma ora era possibile farlo apparire unico, esclusivo, personale, originale. Potenza del marketing. Non a caso il grosso degli investimenti si concentrò nel packaging, nella comunicazione e nella distribuzione.
Gli investimenti erano passati dalle miniere al marketing. Il potere dei grandi della terra era rappresentato da un qualcosa di un po' meno materiale, e un po' meno difendibile con eserciti e polizia. Quindi un po' più fragile e accessibile dall'esterno, come testimoniano le fulminanti fortune dei magnati della comunicazione.
Ma le cose stavano rapidamente cambiando: nel brevissimo lasso di tempo intercorso tra la seconda metà degli anni 1980 e il 2010, assistemmo alla smaterializzazione della produzione. I prodotti che la facevano da padrone erano reperibili sotto forma smaterializzata: musica, cinema (prodotti in verità piuttosto tradizionali, la cui fruizione diventò domestica) e software, disponibili negli avveniristici formati VHS, floppy, CD e DVD.
La digitalizzazione permetteva la riproduzione di un prodotto a costi bassissimi (la stampa di un CD, per esempio): fu un altro sconvolgimento che provocò l'emergenza di nuovi soggetti, rappresentati iconicamente da Bill Gates. Come proteggere i profitti? Dove concentrare gli investimenti? La risposta fu la proprietà intellettuale.
Il nemico del dominatore di questa fase è la copia digitale, quella perfetta, sempre uguale a sé stessa. Così l'investimento vincente diventa l'avvocato, una schiera di avvocati, di lobbisti, di nuove leggi a favore delle multinazionali. Chi tocca gli interessi delle major deve essere punito, con la logica maoista del "punirne uno per educarne cento."
Famosi sono i processi a qualche ragazzino che scaricava musica con sistemi p2p, a qualche multinazionale colpevole di aver scelto sistemi open source per la propria infrastruttura server, e a qualche hacker famoso per aver decrittato il sistema di protezione dei DVD.
Processi quasi sempre regolarmente persi dai promotori, ma che comunque conseguirono il risultato di diffondere "paura, incertezza e dubbio" nella maggior parte della popolazione, soprattutto quelli che potevano pagare.
Arrivati ai giorni nostri, un altro fenomeno si è imposto: l'internet omnipervasiva, dovunque e sempre. In questo schema, il possesso di contenitori di contenuti (DVD, Blue Ray) che fece la fortuna dei magnati del periodo precedente, non ha più senso. Oggi il prodotto si consuma in streaming, quando e dove si vuole: che senso ha detenerne una copia?
In questi tempi è emersa una nuova forma di corporation, che trae vita dalla nostra connessione permanente. Fornisce servizi gratuiti, ci fa rivedere i telefilm della nostra infanzia, ci permette di conoscere in tempo reale cosa sta facendo o pensando qualunque nostro "amico", ci dà una finestra sul mondo dalla quale vedere, ma anche essere visti, ed esprimere i nostri umori, pensieri, convinzioni politiche. In pratica, un eccezionale ausilio a rimorchiare.
In questo schema, le icone sono dei ragazzini brufolosi, come Larry Page e Sergey Brin, fondatori di google, o Mark Zuckerberg, ideatore di facebook. Sono giovani, per confermare la velocità con cui sono diventati dei colossi. La corporation non produce più oggetti materiali, o contenuti multimediali, o servizi. È piuttosto un direttore d'orchestra, un vigile del traffico dei produttori convenzionali (perché una popolazione di 7,5 miliardi di individui dovrà comunque mangiare, spostarsi, consumare hardware). Uber non è una compagnia di tassisti, ma un'app. Google non è un'agenzia pubblicitaria, ma un motore di ricerca.
Come abbiamo già scritto qui e qui, lo schema potrebbe essere chiamato anche "Voi lavorate, io guadagno". Il lucro avviene attraverso le commissioni e la pubblicità, ma non quella massiccia di Berlusconi e Murdoch: una forma più sottile, perfida e poco invasiva. Prima ti profila, ovvero riesce a capire chi sei (meglio di tua madre o della tua migliore amica), e poi ti passa i messaggi degli sponsor, ma solo quelli che ti interessano, ricavati dalla tua storia in rete.
Come si proteggono questi imperi? Stando sempre un passo avanti rispetto alla concorrenza, offrendo servizi migliori, più facili da fruire, non annoiando con eccessiva pubblicità, collegamenti più veloci, favorendo insomma il fatto che una persona torni frequentemente a collegarsi al tuo sito. In una parola, l'abitudine.
I colossi del web costruiscono giganteschi edifici colmi di server, situati spesso vicino ai circoli polari per risparmiare sul raffreddamento. Questo garantisce collegamenti veloci e servizi potenti, ma non basta a proteggerli. È sufficiente un piccolo cambiamento nelle abitudini della ggente, magari un social medium con cui si rimorchia più facilmente e, voilà, l'impero crolla.
Possiamo vedere come i bastioni di difesa delle corporation siano sempre più labili: prima giacimenti di materie prime, detenuti anche con la forza militare, poi colossali apparati di comunicazione e vendita, poi ancora un esercito di legulei, oggi l'abitudine.
I nuovi colossi del web distruggono i posti di lavoro, creano dipendenza, ci alienano sempre più dalla realtà, ma sono fragili, hanno i piedi di ferro e di argilla. Prossimamente vedremo come sabotarli, con tecniche di autodifesa, ma anche che creino disordine e danno.