Industria 4.0. Affrontare la svolta che ci attende significa prima di tutto fornire un'adeguata informazione soprattutto sui pericoli che essa comporta, e poi regolamentarla severamente. Non utilizzarla per fare propaganda referendaria.
"Tra Renzi e Berlusconi vedo similitudini, vedo Renzi come continuatore della modernità."
(Denis Verdini)
Quando da piccoli ci prefiguravamo il 2000, pensavamo alla conquista dello spazio, ad automobili volanti, alimentazione artificiale con pillole e cose così. Oggi, che il 2000 è bello e passato, non è accaduto, per fortuna, niente di tutto questo.
Comunque è ben radicata la sensazione di vivere in una nuova era della storia umana. Automobili e biciclette sono ancora al loro posto, sostanzialmente invariate rispetto a 50 anni fa, ma in compenso sono scomparsi oggetti che facevano parte della nostra vita, come le enciclopedie, le cabine telefoniche e le musicassette. Il motivo è lo straordinario accesso alle informazioni: documenti, suoni, immagini e filmati possono essere digitalizzati, conservati e trasmessi in quantità illimitata e a grande velocità, con dispositivi piccoli, mobili e di costo sempre più basso.
Una rivoluzione così profonda che non è ancora stata compresa del tutto, infatti il pericolo maggiore è rappresentato da miliardi di persone non preparate culturalmente a gestire strumenti così potenti. Il mio amico Mirco Gasparini dice che, per permetterci di guidare un'automobile, si richiede la maggiore età e un attestato di abilità. Per usare uno strumento mobile collegato a internet 24 ore al giorno sette giorni la settimana, aggeggio potenzialmente assai più pericoloso, non è richiesto niente, anzi, lo diamo anche ai bambini. Ma lo facciamo in nome del progresso.
E questo è solo l'inizio: ci troviamo sull'orlo di una rivoluzione tecnologica che modificherà radicalmente il nostro modo di vivere, lavorare e relazionarci gli uni agli altri. Per dimensione, portata e complessità, la trasformazione sarà diversa da qualsiasi cosa l'umanità abbia sperimentato prima. Stiamo entrando in un territorio inesplorato, non sappiamo ancora cosa ci aspetta, ma una cosa è chiara: la risposta dovrà essere attenta e completa, e coinvolgere tutte le parti interessate, la politica, la pubblica amministrazione, le aziende, il mondo accademico e la società civile.
Le conseguenze di tutto questo riguardano soprattutto l'economia e il lavoro. Facciamo una breve puntualizzazione storico-economica: le prime tre rivoluzioni industriali sono coincise con l'introduzione del motore a vapore attorno al 1750, del petrolio e dell'elettricità attorno al 1870 e della globalizzazione dell'economia attorno al 1950. Ora siamo in piena quarta rivoluzione industriale, quella legata all'informatica, alla robotica e alle telecomunicazioni.
Lasciando perdere le panzane sulla stampante 3D, è evidente che ci troviamo in una fase molto dinamica, in cui nuove imprese stanno prendendo il controllo di nuovi mercati, portando dietro di sé una scia di lacrime e sangue. Questo avviene perché questi nuovi player sfruttano a proprio vantaggio la velocità e soprattutto la gratuità delle informazioni a disposizione. Mettere in contatto un cingalese automunito, disposto ad andare dovunque in cambio di un compenso da fame, con chi ha bisogno di un passaggio è un esempio di informazione preziosa, che può permettere a chi la detiene di soddisfare il cliente e contemporaneamente renderlo complice di sfruttamento di manodopera. A pagamento, s'intende.
Anche le macchine scambiano tra di loro informazioni ridondanti e a costo zero (Internet delle cose), con risultati come migliore organizzazione, tempi di consegna più brevi, meno errori, maggiore flessibilità, in fase di produzione ma anche quando i prodotti sono utilizzati (la fase più lucrosa, basti pensare al settore dei ricambi auto).
Abbiamo già scritto quanto raccontano gli economisti Erik Brynjolfsson e Andrew McAfee: l'industria 4.0 porterà maggiore disuguaglianza, in particolare nella sua capacità di perturbare i mercati del lavoro, ampliando a dismisura il divario tra i rendimenti del capitale e del lavoro, questi ultimi virtualmente azzerati. Chi riuscirà ad accaparrarsi le maggiori informazioni su consumatori e prodotti, sarà vincitore in questi mercati, e per gli altri, come già spiegato, non ci sarà scampo.
In questa situazione è evidente che la politica dovrebbe mettere in guardia i cittadini e le aziende sui pericoli di questa esplosione economica, fornire adeguate informazione e formazione, e poi regolamentare severamente gli ambiti e gli spazi in cui questa rivoluzione si può muovere. Invece, cosa fa il nostro governo? Cavalca l'Industria 4.0 come se fosse un cavallo addomesticato e la utilizza per fare propaganda referendaria. Renzi va in tour (recentemente a Verona dall'amico Tosi, vedi foto) a presentare il suo piano tra trombe e fanfare.
Il Piano Nazionale Industria 4.0 è stato affidato al ministro Calenda, che è un noto sostenitore delle multinazionali. Calenda è il motivo principale per cui il TTIP, il trattato pro-corporation tra USA e UE, nonostante sia stato scaricato dalle cancellerie dei principali attori europei (Germania e Francia su tutti) è ancora in vita: l'Italia, nella persona del suo ministro allo sviluppo economico, non lo vuole abbandonare, costi quel che costi.
Se queste sono le persone, da questo gabinetto non è lecito aspettarsi una voce critica nei confronti della quarta rivoluzione industriale, e il pacchetto denominato Piano Nazionale Industria 4.0 sarà l'ennesimo favore ai potentati economici. Toccherà cavarcela da soli, come sempre.