Seconda puntata della magica escursione sulla neve. Oltre alla poesia, alcune riflessioni sulla nostra Storia.
E' passata una settimana e ha continuato a nevicare. La voglia di rivederla, di riassaporare la magia, è irrefrenabile. Passo del Branchetto, un po' prima delle undici. Questa volta sono con il folletto delle nevi e Dora, la sua cagnetta.Ci incamminiamo per la pista battuta che conduce al Tomba. Ma non è più come domenica scorsa. Nevischia, poca visibilità. Poco prima del Tomba, si accoda un coppia che vuole raggiungere la Podestaria. Superata la cima, siamo avvolti dalla nebbia. L'incantesimo (malvagio?) adesso è completo. Volute di ghiaccio modellate dal vento si dipartono dai paletti di maggiociondolo.
Solo la perizia del folletto che conosce, della Lessinia, ogni sasso, ogni reticolato, ogni malga, ogni anfratto, ci conduce a Podestaria. Che è fortezza solitaria, in mezzo ad un deserto di neve, una trincea e poi un muro bianco alto tre metri come difesa. I licheni sul marmo roseo sono abbracciati in una stretta mortale al ghiaccio. Ripartiamo subito e facciamo un fuoripista fino alla Pozza Morta. Lì salutiamo la coppia a cui indichiamo la pista per San Giorgio.
Noi invece vogliamo andare di nuovo alle Gasparine. Stavolta non è per niente facile. Sandro scorge la croce e poi a fatica, seguendo provvidenziali paline poste lungo la carrareccia, si giunge finalmente alla malga. Non c'è più Agostino e non c'è più la grappa, e anche le scie lasciate la domenica precedente sono scomparse.
La neve ha modellato un nuovo mondo, quasi ostile . Si ritorna brevemente alla realtà, solo quando nel cielo si aprono degli squarci, all'improvviso. Su allo Sparavieri, giù a Bocca San Nazzaro e su al Dosso San Nazzaro. Giù a Bocca Gaibana e ancora giù nella Conca di San Giorgio dove abbraccio l'apoteosi dell'irrealtà: cielo e terra sono tutt'uno.
Non so più se sto andando in salita o in discesa. E' un ambiente senza riferimenti: l'irrealtà dei bambini.
"... All'asilo infantile le suore ci avevano insegnato una canzoncina che diceva di un bambino che dormiva in una culla e di una vecchia che cantava, il mento nella mano: (1)
'.. Nel bel giardino il bimbo si addormenta. | La neve fiocca lenta, lenta, lenta.'
Scopersi molto tempo dopo che era un sonetto del Pascoli ..."
Anche mia mamma cantava alle mie sorelle la stessa poesia per farle addormentare. Si alza il vento, gelido sulla nuca, e adesso sembra di essere il soldato di Kurosawa in Dreams...
Il risveglio, in città, porta con sé il chiarimento della metafora. Stiamo vivendo nel sonno indotto da decine di anni di tecnologia. La tecnologia ha agito come il manto di neve, seppellendo le buone pratiche sostenibili. Ci ha fatto perdere memoria di tutto.
Ecco: i paletti dei reticolati sono forse la nostra salvezza, ci indicano la via per uscire dall'impasse, sono i "Creodi" della "Via". Proprio come succedeva nelle società vernacolari, nel senso di Illich e di Goldsmith (Tao dell'Ecologia), che avevano mitizzato le loro vie spirituali.
Fossero esse il Tao o l'Rta degli Indù, che servivano da guida ai membri di quelle società nei vari momenti della loro esistenza.
"... Com'è bene ciò che è forestale! Ora, con il terreno coperto da tanta neve, gli alberi appaiono diritti, solenni e vivi si perdono nella profondità del cielo come silenziosa preghiera. E' davvero grande la foresta invernale; andando con le racchette da neve o con gli sci leggeri ti sembra di essere sospeso nell'aria perché il suolo è sotto tutta quella neve e lì ci sono muschi e licheni, pianticelle, arboscelli, cespugli, e la vita di coleotteri, imenotteri, aracnidi, lombrichi, roditori che continua e aspetta la primavera per manifestarsi ..."
Immersi nel lungo inverno della tecnologia, non ci resta che una cosa: scavare. Pazientemente, con meticolosità e perseveranza. Grattare via il ghiaccio, anche con le unghie. Per riportare alla luce la vera essenza dell'Uomo, la Vita. Con i suoi ritmi, le sue Stagioni. La sua biologica e magica lentezza.
(1) da Stagioni di Mario Rigoni Stern Einaudi, 2006